Da Fieragricola focus su “Biologico: futuro dell’agricoltura?”, con Assobio, Federbio e Aiab. Ma resta da sciogliere il nodo della burocrazia

Viticoltura e vino bio made in Italy sono la “volpe” che corre davanti a tutta l’agricoltura bio italiana e non solo per primato di superficie (19% sul totale della viticoltura nazionale), di produzione e di esportazione, ma per la sinergia espressa dai vini a marchio europeo tra l’identità territoriale e il metodo di produzione rispettoso dell’ambiente. Solo negli ultimi tre anni il vino bio ha riscosso un interesse molto forte quanto inaspettato, forse a causa della mutata sensibilità dei consumatori rispetto alla sostenibilità, un effetto secondario positivo legato anche alla pandemia. Se le prospettive di mercato per il vino bio appaiono favorevoli, dunque, escludendo il rischio di sbilanciamento tra domanda e offerta, la sua produzione presenta comunque delle criticità. È necessario un supporto alla produzione e anche alla domanda, pervenendo ad una trasparenza che garantisca il consumatore.

“Avere un Piano Strategico Nazionale della Pac che investe sul bio, sia in termini di produzione che di mercato e di supporto agli agricoltori, può favorire ulteriormente il mantenimento e la crescita del vigneto bio in Italia – ha sottolineato Maria Grazia Mammuccini, presidente FederBio (e produttrice di vino in Toscana, nel Valdarno, ndr) – che insiste sul 19% della superficie totale, con la percentuale più alta nel mondo, già di per sé un trend straordinario. I temi strategici su cui lavorare sono la ricerca e l’innovazione per supportare i viticoltori al meglio sui punti critici della gestione del vigneto e della cantina. Gli andamenti di mercato dicono che il trend del vino bio è tra quelli più positivi e quindi il settore va supportato perché c’è lo spazio che può valorizzare sia i produttori che i territori”.

I costi elevati per la certificazione, l’esagerato impegno burocratico e il rischio di multe per errate compilazioni di registri sono deterrenti importanti, soprattutto in altre colture, per la rivendicazione della produzione in bio e determinano la “fuoriuscita” di molte aziende dal sistema, che pure continuano a produrre secondo i dettami del biologico. Una situazione meno frequente in viticoltura.

“Il logo del bio apposto sulle bottiglie di vino – spiega Mammuccini – è un valore per il mercato, e per questa ragione molti viticoltori hanno aderito al bio, oltre che per utilizzare le risorse dei Psr e, in futuro, quelle del Piano Strategico Nazionale. È stata l’attrattiva di mercato ad essere stata determinante. E poi per i vini a denominazione è vincente unire l’identificazione con il territorio a un metodo produttivo che lo rispetta. Questo crea il valore aggiunto. Sul piano burocratico, però, c’è una pesantezza quasi insostenibile, anche perché dobbiamo tenere sistemi separati. Cioè chi produce, trasforma e vende, ogni mese deve inviare i dati al Sian, e questo già garantisce una trasparenza totale, tuttavia poi deve tenere altri registri per giustificare gli altri sistemi di controllo. Si deve arrivare a una razionalizzazione perché se per tutti la burocrazia è un problema, per il settore viticolo tra certificazioni per la denominazione e per il bio i costi burocratici diretti e indiretti sono davvero troppi”. […]

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FONTE


TESTATA: Wine News
AUTORE: Redazione
DATA DI PUBBLICAZIONE: 2 marzo 2022