Dopo l’intervento in Parlamento della senatrice e scienziata Elena Cattaneo contro i fondi pubblici all’agricoltura biodinamica, ma anche contro il biologico, sui media ferve la discussione tra pro e contro. L’agricoltura biologica, che consiste nella rinuncia a pesticidi, erbicidi e fertilizzanti chimici, non è esente da critiche. La principale riguarda la minore resa, che è circa del 15-20 per cento inferiore rispetto al convenzionale. “Non è una differenza drammatica” dice Paolo Barberi, docente di agronomia alla Scuola superiore Sant’Anna di Pisa. “Inoltre, se si ragiona solo sulla resa per ettaro e per anno, si trascura la dimensione del tempo: il biologico consente di sostenere le produzioni nel tempo diminuendo progressivamente la necessità di risorse, mentre l’agricoltura classica alla lunga impoverisce il terreno”. Del resto, ricerche recenti rivalutano l’importanza per la produttività della diversificazione delle colture. “Un sistema poco diversificato è la coltivazione del mais nell’agricoltura convenzionale, dove, anno dopo anno, si semina solo quello – spiega Barberi – invece uno dei cardini del bio è far seguire una coltura cerealicola a una leguminosa”.

Uno studio pubblicato su Science Advances da un gruppo di ricercatori internazionali, prima firma l’italiano Giovanni Tamburini, confronta la produttività tra sistemi diversificati e sistemi convenzionali. “Nel 63% dei casi esaminati, diversificando si riesce a produrre di più e anche ad aumentare la fertilità del terreno, conservare la biodiversità e promuovere la presenza di insetti impollinatori” dice Barberi. Quanto all’uso di sostanze chimiche tossiche, il bio non è del tutto esente, in quanto è ammesso il solfato di rame come fungicida, ma ormai tra i produttori c’è una forte consapevolezza del problema e si sta cercando di sostituirlo.

Per quanto riguarda le capacità nutritive e salutari, “per alcuni parametri – ad esempio la concentrazione di proteine – spesso non ci sono grandi differenze. Nei prodotti bio è però più alta la concentrazione di sostanze benefiche come gli antiossidanti”, dice Barberi. Un altro aspetto rilevante è quello socioeconomico. In Toscana circa il 30% dei terreni agricoli è abbandonato, per mancanza di ricambio generazionale e per il sistema agroalimentare classico che tende alla riduzione dei prezzi e mette fuori mercato tante produzioni. L’agricoltura bio, con agricoltori più giovani, più istruiti, più sensibili alla diversificazione della produzione, con altre attività come l’agriturismo e la didattica, sta determinando importanti situazioni di recupero di terreni abbandonati. Per esempio, con i “biodistretti” si rivitalizzano intere zone altrimenti destinate al degrado. Puntare sul biologico in queste zone può fare da volano per il recupero sociale ed economico. […]

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FONTE


TESTATA: Il Venerdì
AUTORE: Giuliano Aluffi
DATA DI PUBBLICAZIONE: 11 giugno 2021