Il presidente di FederBio chiede l’intervento della politica per normare al più presto un settore che cresce a due cifre ormai da 10 anni. E va rinnovato anche il sistema di certificazione ormai obsoleto.
La certificazione bio di Eataly e la prima pasta bio che sta per essere lanciata sul mercato italiano da Barilla, sono soltanto le ultime conversioni “illustri” che sottolineano il passaggio epocale in cui il settore biologico italiano sta entrando. Due casi emblematici: da punti di vista diversi e opposti Barilla e Farinetti (patron di Eataly) negli anni recenti avevano tentato strade alternative, con approcci alla sostenibilità e qualità alimentare che prescindessero dal bio e dalla certificazione.
Il biologico è l’unico settore agricolo e alimentare sostenibile normato e certificato dall’Unione europea. Anche le realtà produttive e distributive più resistenti hanno dovuto prenderne atto e ciò non è solo importante per il rafforzamento e la crescita del settore, ma è anche la definitiva dimostrazione che il mercato, quindi il consumatore, ha finalmente capito e scelto il bio. Anche in Italia.
Una scelta spontanea: non si ricorda infatti nessuna campagna istituzionale o mediatica (anzi, di biologico e biodinamico se ne parla quasi sempre male). Nessuna grande organizzazione agricola o del commercio che abbia benedetto accordi e progetti. Di fatto è stata assente anche la politica, ancora una volta sorpassata dalla realtà.
È il mercato, bellezza. In questo caso quello fatto da gente vera che si informa e decide per proprio conto e che facendo la spesa, dunque mangiando, compie “un atto agricolo”, come direbbe qualcuno, di recente arruolato altrove.
Ben venga quindi che – a più di un decennio dai primi tentativi – il Parlamento stia finalmente per chiudere l’iter di una legge sull’agricoltura biologica che, anche se ormai non ha più molto di rivoluzionario e innovativo da affermare, sancisca però in maniera inequivocabile il ruolo economico e sociale del biologico e consenta, attraverso il riconoscimento dell’organismo interprofessionale di settore, un significativo passo avanti nell’organizzazione del sistema biologico nazionale.
Crescere a due cifre sul mercato ormai da quasi 10 anni è cosa buona e giusta, tuttavia se il sistema organizzativo e di certificazione non si evolve rischia di incepparsi.
E alcuni segnali sono chiari, fra cui la crescita esponenziale dell’import di materie prime e la fatica con cui un sistema di certificazione vecchio e appesantito da burocrazia e sistemi informatici pubblici inefficienti cerca di prevenire le frodi.
Su questo versante nelle scorse settimane il Ministero agricolo ha cercato di accelerare l’attuazione della delega per la riforma della normativa sui controlli. Nel frattempo però l’Ue ha pubblicato il nuovo Regolamento sui controlli ufficiali per alimenti e mangimi, che dal 27 aprile di quest’anno comprende anche i prodotti biologici e quelli tipici a marchio Ue.
E poi c’è la questione della tracciabilità, fondamentale per stroncare sul nascere le frodi e che si vorrebbe imporre ovunque. Nel biologico però la tracciabilità esiste già per iniziativa di Accredia e degli organismi di certificazione associati a FederBio, ma si fatica a chiudere il cerchio con una collaborazione efficace con il sistema pubblico.
Speriamo dunque che la stagione dei congressi e delle primarie di partito chiuda presto, perché c’è estrema urgenza che il ministro Maurizio Martina torni “sul pezzo”, anche per le importanti decisioni che riguardano il biologico.
Uno dei pochi settori che non sente la crisi, ma che, per paradosso, rischia di subirla per eccesso di crescita incontrollata su di un corpo organizzativo e di mercato ormai superato.
Fonte: terraevita.it
Autore: Paolo Carnemolla