Follow the money, dicono gli investigatori di crimini internazionali; e i soldi raccontano sempre una storia. Quella, ad esempio, di buone intenzioni ambientali al momento delle dichiarazioni e scarsi risultati al momento di mettere mano ai finanziamenti. Come nel caso delle scelte che vanno fatte, sempre in termini di denaro sonante, per la politica agricola europea, la Pac, che da sola assorbe quasi il 35% del bilancio comunitario.

In questi ultimi mesi, l’acronimo Pac ha smesso di essere un mantra per appassionati ed esperti di agricoltura ed è diventato – se non proprio popolare – conosciuto a una parte dell’opinione pubblica. Le associazioni ambientaliste e quelle degli agricoltori biologici sostengono che questa Pac poco ha a che vedere con le grandi direttrici green della UE. Con il Green Deal, in primo luogo. E con due atti specifici di indirizzo, usciti appena dopo la fine del primo lockdown: la Strategia Farm to Fork e la Strategia Biodiversità. Due documenti che disegnano un’Europa diversa: taglio del 50% dei pesticidi utilizzati nei campi e del 25% degli antibiotici usati negli allevamenti intensivi di bestiame; almeno un 10% della superficie coltivata destinata a siepi e laghetti per dare rifugio a fauna e flora selvatici; 25% di campi convertiti al biologico. Il tutto da qui al 2030.

Ed è la Pac lo strumento per finanziare quello che è stato disegnato a livello strategico. Ma va in questa direzione? Lo abbiamo chiesto a Maria Grazia Mammuccini, che – oltre a essere un’imprenditrice agricola – è presidente di FederBio, la federazione che raccoglie le varie organizzazioni del biologico, ed è anche tra i coordinatori della coalizione #CambiamoAgricoltura che conta oltre 60 associazioni (tra cui anche Wwf, Legambiente, Slow Food, LiPU) ed è riuscita a far emergere la Pac dal recinto dei media specializzati per trasformarla in tema di dibattito politico.

È una Pac amica dell’ambiente quella che sta uscendo dai vari livelli decisionali, ultimo dei quali il voto del Parlamento Europeo?

“La Pac nasce antica: stiamo discutendo della proposta approvata nel 2018. Da allora è cambiato il mondo. Alcune emergenze hanno subito un’accelerazione drammatica: la crisi climatica, la crisi ambientale complessiva, la crisi sanitaria, la crisi sociale, tutte strettamente intrecciate. Sotto questa spinta, la nuova Commissione UE ha sottoscritto un patto per la transizione ecologica, il Green Deal. E, nonostante dopo il lockdown molti governi abbiano chiesto di mettere da parte il Green Deal, la Commissione ha accelerato il passo con la strategia Farm to Fork che porta avanti obiettivi ambiziosi ma equilibrati, come triplicare la superficie agricola coltivata a biologico e dimezzare i pesticidi. Con queste premesse, sembrava inevitabile che la Pac desse gambe agli obiettivi della Commissione. Il Parlamento europeo doveva aggiornare la proposta di due anni fa, considerata inadeguata. Ma a sorpresa ha fatto il contrario: non ha inserito gli obiettivi della Farm to Fork e ha solo genericamente citato gli obiettivi dell’accordo sul clima di Parigi, ignorando il target di riduzione del 30% delle emissioni di gas serra dal settore agricolo. Quindi la risposta alla domanda è: no, questa Pac così come è uscita dal voto del Parlamento europeo privilegia un concetto arretrato di agricoltura basato sull’ampio uso di chimica di sintesi e sull’industrializzazione del settore

Ma cos’è che non va, nei fatti?

“L’agricoltura europea esiste e resiste perché viene sovvenzionata con i soldi di tutti noi. È duro da ammettere, ma è un dato di fatto su cui occorrerebbe riflettere più ampiamente. Nella vecchia Pac il sostegno veniva tradizionalmente erogato secondo la superficie dell’azienda agricola o del numero dei capi di bestiame allevati. Inutile dire che quel criterio era strettamente collegato all’idea dell’agricoltura industriale. Prima ancora – diciamo nella ‘preistoria’ della Pac – il criterio era quello della produzione. A un certo punto non è stato più possibile per la questione delle eccedenze e poi per le regole sulla competitività all’interno del Wto. Nel 2000 quindi la Pac cambiò, ma per fare il calcolo di quanto spettava a un agricoltore si cominciò a partire dal calcolo delle vecchie sovvenzioni. Insomma, si è finito per continuare a premiare i grandi proprietari e le forme di agricoltura e allevamento più strettamente industrializzate e standardizzate. Il contrario della qualità. Un sistema sbagliato e bocciato dalla magistratura europea. Nell’ultima Pac era stato infatti inserito il concetto del greening, anche allora su proposta della Commissione: per prendere il premio del greening, una maggiorazione delle sovvenzioni, devi fare degli interventi di carattere ambientale. Ma anche allora il Parlamento intervenne rendendo inefficace la misura. E la Corte dei conti Ue ha sancito che il greening non ha prodotto i risultati per cui era stato proposto”.

Quindi via il greening…

“Certo, ma ora a prendere il suo posto in quest’ultima Pac sono i cosiddetti ecoschemi. Si tratta degli interventi per contrastare il cambiamento climatico e le varie emergenze ambientali. Si è discusso a lungo se renderli obbligatori o facoltativi per gli Stati membri, ma nel frattempo il Parlamento Ue ha votato un’interpretazione per cui le risorse destinate agli ecoschemi vengono distribuite a pioggia: all’agricoltura integrata, ovvero a una agricoltura che utilizza chimica di sintesi più ‘aggiornata’; all’agricoltura di precisione, cioè all’innovazione tecnologica, che va benissimo ma non basta; all’agricoltura conservativa, che non dissoda il terreno per non rovinarlo ma usa i diserbanti, glifosato in primo luogo, per contrastare la crescita delle infestanti. Si tratta in sostanza di una brutta copia del greening e tra sette anni ci diranno che non ha prodotto risultati. Ma allora non ci sarà più tempo, perché il cambiamento climatico avanza e va contrastato ora, non fra sette anni. E non basta. Le aree di biodiversità nei campi, secondo la strategia Farm to Fork, dovevano arrivare al 10% della superficie dei campi. Ma il Parlamento europeo ha stabilito che, se questo determina una perdita di produzione e di reddito, l’obiettivo del 10% deve essere riconsiderato. Per ultimo, ma non ultimo in ordine di importanza, sono stati mantenuti i cosiddetti pagamenti accoppiati alla produzione: il punto più problematico restano gli allevamenti intensivi, che hanno un impatto negativo scientificamente provato sul clima e sull’ambiente. In altre parole la maggior parte delle sovvenzioni va ancora a premiare la produzione come si intendeva nel ’900, in pratica la sovrapproduzione. Ha vinto il concetto antico e dannoso dei soldi a pioggia, senza veri criteri ambientali”.

I gruppi conservatori e progressisti dell’Europarlamento hanno votato in maniera abbastanza compatta per questa versione della Pac che voi come associazioni ambientaliste e del bio considerate come un arretramento rispetto alla proposta originale. A fare eccezione, i Verdi europei, la sinistra e buona parte dei partiti spagnoli. Cosa è successo?

“Purtroppo nei momenti chiave le lobby contano di più. Ma è anche un problema di scarsa considerazione dell’impatto delle dinamiche agricole sulla qualità della vita di tutti. La ministra italiana delle Politiche agricole, Teresa Bellanova, ha detto che il Green Deal non deve essere pagato con i soldi degli agricoltori. Ma i soldi che vanno agli agricoltori sono il 34,5% del bilancio europeo e li pagano tutti i cittadini con le tasse. È giusto darli agli agricoltori se producono non solo cibo ma anche beni pubblici per tutti. Inoltre l’agricoltura europea e quella italiana in particolare hanno tutto da guadagnare da scelte diverse come l’agroecologia che vede il nostro Paese leader a livello europeo con il doppio di superficie agricola coltivata a biologico rispetto all’attuale media europea”.

La Pac non è stata ancora approvata però. È possibile che cambi ancora? Cosa chiedete come FederBio e come coalizione di associazioni?

“In questi giorni si tengono le riunioni del cosiddetto trilogo: la Commissione europea, il Consiglio dei ministri agricoltura e pesca della Ue e il Parlamento europeo. Quello che le associazioni chiedono è il rispetto degli impegni presi con la Strategia Farm to Fork: su questo tema domani ci sarà un incontro web a cui parteciperanno anche ricercatori e associazioni agricole, “Agroecologia e Pac post 2020”. I soldi devono andare a chi difende i beni pubblici, a chi contrasta il cambiamento climatico, a chi riduce gli antibiotici negli allevamenti, a chi diminuisce i pesticidi, a chi riconverte gli allevamenti”. […]

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FONTE


TESTATA: Huffingtonpost
AUTORE: Simonetta Lombardo
DATA DI PUBBLICAZIONE: 17 Novembre 2020