L’eliminazione dei pesticidi deve essere la priorità per l’agricoltura del futuro. La riflessione di Maria Grazia Mammuccini, di FederBio.

Senza un suolo fertile e sano non c’è agricoltura. Mentre la crisi internazionale mette al centro il tema dell’approvvigionamento del cibo, occorre riportare l’attenzione su questa risorsa necessaria e non rinnovabile. Il suolo impiega fino a mille anni per rigenerare la fertilità persa per inquinamento o desertificazione. Secondo la Global Soil Partnership della FAO, il 33% del suolo terrestre è già degradato, percentuale che potrebbe salire al 90% entro il 2050.

La campagna di sensibilizzazione sulla salute dei suoli di Cambia la Terra, il progetto di FederBio con Legambiente, Lipu, Medici per l’ambiente, Slow Food e Wwf, ha analizzato 12 suoli agricoli convenzionali comparandoli con altrettanti terreni biologici contigui e adibiti alle stesse colture, in un monitoraggio dimostrativo, su un totale di 24 aziende agricole. I risultati, in breve: nei campi convenzionali sono state ritrovate ben 20 sostanze chimiche di sintesi tra insetticidi, erbicidi e fungicidi. La sostanza più rilevata è il glifosato, che compare in 6 campi convenzionali su 12, seguito dall’Ampa, un acido che deriva dalla degradazione del glifosato. Delle altre 18 sostanze chimiche di sintesi ritrovate, ben 5 risultano revocate da anni: due, il famigerato Ddt e il suo metabolita Dde, resistono in un campo presumibilmente da 44 anni, in quantità non trascurabili. Nei campi biologici, le sostanze di sintesi rilevate sono solo tre, tra cui un insetticida contro le zanzare, probabilmente proveniente dalle abitazioni vicine e, in uno stesso campo, Ddt e Dde. Si tratta con ogni evidenza di contaminazioni accidentali, da cui il bio cerca da sempre di difendersi.

I risultati del monitoraggio dimostrativo evidenziano che i dati relativi ai campi coltivati con il metodo biologico sono decisamente migliori rispetto a quelli coltivati in convenzionale a conferma che il bio è un metodo di produzione che favorisce la tutela del suolo e della biodiversità. Le quantità di residui chimici di sintesi nei campi convenzionali è un dato di fatto, soprattutto per le produzioni intensive, dove si conferma l’urgenza di ridurre l’uso di pesticidi di sintesi chimica in coerenza con gli obiettivi del Green Deal europeo. Ma abbiamo rilevato che, in alcune coltivazioni «di punta», all’interno di aree vocate, anche nel convenzionale l’uso di sostanze chimiche è molto limitato. In due situazioni, un oliveto in Puglia e un campo di frumento in Basilicata, le sostanze di sintesi erano addirittura assenti. Questo risultato ci incoraggia a pensare che il biologico stia cominciando a rappresentare un modello di riferimento per l’agricoltura in generale.

Ma il monitoraggio dimostrativo vuole anche evidenziare che il sistema di controllo ambientale e sanitario monitora la presenza di pesticidi negli alimenti e nell’acqua. Nel suolo, primo organo recettore delle sostanze chimiche di sintesi utilizzate nell’agricoltura convenzionale, la presenza di molecole potenzialmente dannose per l’ambiente non viene invece rilevata. Così facendo, ignoriamo quali siano i loro effetti sulla miriade di organismi che popolano il suolo e sulle funzioni ecologiche che essi svolgono. È necessario che si dia inizio a un monitoraggio continuo dei residui della chimica di sintesi nel suolo, con il supporto delle istituzioni di ricerca. E che la nostra priorità sia l’eliminazione dei pesticidi, a partire da quelli con una persistenza ambientale molto lunga.

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FONTE


TESTATA: TerraNuova
AUTORE: Maria Grazia Mammuccini
DATA DI PUBBLICAZIONE: 23 luglio 2022