Dal blog di Paolo Carnemolla su Huffington Post

Tutti i media nazionali stanno dando grande risalto a uno studio dell’Università di Pisa che non dice nulla che già non si sapesse: i ricercatori si sono limitati ad analizzare quanto già pubblicato negli anni scorsi. E, soprattutto, non dice assolutamente nulla rispetto all’impatto della coltivazione degli OGM sulla salute umana. Eppure i ricercatori autori di questo studio titolano sul sito della loro Università: “Mais transgenico? Nessun rischio per la salute umana, animale e ambientale“. Da qui titoli di giornali e di servizi televisivi sparati in prima serata su una notizia che non c’è, tanto da tranne in inganno persino Carlin Petrini e altri autorevoli commentatori, colpiti dalle incrollabili e assolute certezze dei ricercatori pisani. I quali, nel loro comunicato, scrivono trionfalmente: “lo studio ha riguardato esclusivamente l’elaborazione rigorosa dei dati scientifici e non l’interpretazione ‘politica’ dei medesimi” , sottolineando come “questa analisi fornisca una sintesi efficace su un problema specifico molto discusso pubblicamente”, tanto da permettere di”trarre conclusioni univoche aiutando ad aumentare la fiducia del pubblico nei confronti del cibo prodotto con piante geneticamente modificate“.

Evidentemente i giornali che hanno titolato allo stesso mondo hanno trascurato di entrare nel merito. Non c’è alcun nesso logico, ancor prima che di merito scientifico, fra lo studio e il titolo del comunicato. Scrivono infatti gli autorevoli scienziati: “La meta-analisi si è basata su 11.699 osservazioni che riguardano le produzioni, la qualità della granella (incluso il contenuto in micotossine), l’effetto sugli insetti target e non-target, i cicli biogeochimici come contenuto di lignina negli stocchi e nelle foglie, perdite di peso della biomassa, emissione di CO2 dal suolo”. Confesso di essere solo un modesto Dottore Agronomo ma vorrei che qualcuno mi spiegasse come l’aumento della quantità di granella prodotta, l’effetto sugli insetti parassiti, il contenuto di lignina negli stocchi e nelle foglie di mais, la perdita di peso della massa vegetale della coltura e le emissioni di CO2 dal suolo possano eliminare magicamente il “rischio per la salute umana, animale e ambientale” come hanno affermato la Prof. Ercoli e i suoi collaboratori.

Si è vero, nella valutazione sulle migliori performance produttive dei mais OGM c’è anche la già nota vicenda della minor produzione di micotossine (-29% circa) cancerogene. Minore, appunto, non “nessuno” come invece si afferma, mentendo, nel titolo. Dimenticandosi anche che la riduzione effettiva del rischio di malattie fungine e di danni da insetti, da cui derivano le micotossine, la si ottiene anzitutto evitando di coltivare il mais in monocoltura e con tecniche agronomiche forzate (irrigazione e concimazione chimica), che un abbattimento effettivo (fino al 95%, altro che 29%!!) lo si può ottenere solo con un fungo antagonista selezionato dall’Università Cattolica di Piacenza (lotta biologica) e che tutto il mais che viene utilizzato per alimentare gli animali e gli umani nell’intera UE deve avere un contenuto di micotossine inferiore ai limiti di legge. In altre parole, tutto il mais che mangiamo non presenta alcun rischio per la salute umana anche senza coltivare mais OGM.

Se poi “minor rischio” significasse un minor ricorso a trattamenti insetticidi per i mais OGM resistenti all’insetto piralide, peggio mi sentirei, perché ci sono sistemi di coltivazione del mais che escludono gli OGM (il biologico in primis) che da questo punto di vista davvero fanno ben di meglio. E cosa dire della pretesa del team della Prof.ssa Ercoli di risolvere tutta la questione del rischio ambientale del mais OGM con l’impatto su qualche specie di insetti e un po’ di anidride carbonica emessa in meno dal suolo, quando è a tutti noto che i mais OGM per produrre quella quantità in più attestata dallo studio devono essere coltivati con utilizzo di diserbanti (come il glifosato), concimi e pesticidi e con molto consumo di acqua e di combustibili fossili?

Che dire quindi, se non che alla luce di tutto questo suscita quanto meno perplessità l’affermazione dei ricercatori che il loro studio: “permette di trarre conclusioni univoche aiutando ad aumentare la fiducia del pubblico nei confronti del cibo prodotto con piante geneticamente modificate“. Così forse si è forse convinto qualche giornalista che va di fretta e qualche lettore o spettatore distratto, ma quando docenti universitari e ricercatori giocano con le parole e con la buona fede del pubblico si mette a rischio la credibilità stessa della scienza e di prestigiose istituzioni come l’Università di Pisa e la Scuola S. Anna. Che i rispettivi Comitati Etici si attivino, se le bufale cominciano a uscire anche dai siti delle Università siamo davvero perduti.

 

Fonte: Huffington Post/blog

Autore: Paolo Carnemolla

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