Le alternative al glifosato esistono: sono le buone pratiche agronomiche, ecologiche e sostenibili. L’opinione di Mariagrazia Mammuccini, Portavoce del tavolo associazioni ambientaliste e dell’agricoltura biologica per la Campagna #StopGlifosato

La campagna Stop Glifosatoè partita da un’iniziativadell’Associazione italiana per l’agricoltura biologica ed è subito diventata la campagna di tutto il tavolo delle associazioni ambientaliste e dell’agricoltura biologica che conta ad oggi 38 organizzazioni.
Iniziata nel 2015, dopo che lo IARC, l’agenzia per la ricerca sul cancro dell’Organizzazione mondiale della sanità, ha classificato il glifosato, in relazione alla salute umana, come “probabile cancerogeno” 2A. Oltre all’azione oncogena, da numerosi studi scientifici il glifosato sembra agire anche come “interferente endocrino”, perturbando molteplici e delicate funzioni cellulari.
Ai ministri competenti di Agricoltura, Salute e Ambiente, abbiamo richiesto di applicare subito il principio di precauzione in nome della tutela della salute pubblica, vietando la produzione, la commercializzazione e l’uso di tutti i prodotti a base di glifosato; alle Regioni abbiamo chiesto la sua rimozione da tutti i disciplinari di produzione che lo prevedano e l’esclusione dai premi dei PSR delle aziende che ne facciano uso evitando l’insensatezza di premiare con fondi pubblici uso e distribuzione di un prodotto cancerogeno per gli animali e probabile cancerogeno per l’uomo.
Il glifosato è il principio attivo a effetto erbicida più utilizzato al mondo (è presente in 750 formulati), ed è quello più collegato alle produzioni di mais, soia e cotone geneticamente modificate proprio per indurre la resistenza al prodotto che può quindi essere utilizzato senza danneggiarle.
Anche in Italia è una delle sostanze più vendute.Negli ultimi anni l’ISPRA ha raccolto dati sulla presenza di oltre 175 pesticidi nelle acque, superficiali e sotterranee e tra le sostanze più volte presenti in quantità superiori a quelle tollerate dagli Standard di qualità ambientale previsti dalle normative europee e ai limiti per l’acqua potabile ci sono il glifosato (presente nel 31,8% dei punti di monitoraggio delle acque superficiali, nel 31% dei casi oltre i limiti) e l’AMPA (un suo metabolita, cioè la molecola che risulta dalla sua degradazione), presente nel 56,6% dei punti di campionamento, in tutti i casi oltre il limite. L’aspetto inquietante è che, nonostante la diffusione sia a livello nazionale, il suo monitoraggio è effettuato solo in Lombardia.
È utilizzato anche dagli enti pubblici per la pulizia dei margini stradali e del verde pubblico, ma è presente anche in prodotti da giardinaggio e per l’hobbistica. Tutti possono essere esposti a questa sostanza sia durante le applicazioni, in campagna che nelle aree pubbliche, ma anche in altri modi, attraverso i residui nelle acque, nei cibi e nelle bevande come è emerso da studi recenti.
La coalizione Stop Glifosato ha intensificato il suo lavoro dopo l’uscita della valutazione dell’EFSA, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, che in contrasto con il parere dello IARC, ritiene la sostanza probabile non cancerogena per l’uomo, basandosi su studi mai pubblicati e forniti dalle stesse imprese chimiche che producono il glifosato, in contrasto con le più elementari garanzie di indipendenza e in evidente conflitto d’interessi.
L’autorizzazione del glifosato a livello europeo scade il 30 giugno. La posizione del nostro governo (espressa dai ministri Martina, Lorenzin e Galletti) e quella delle autorità di altri Stati membri, tra cui Francia e Olanda a difesa della salute dei cittadini, dell’ambiente e dell’agricoltura di qualità e contro al rinnovo dell’autorizzazione, ha costretto la Commissione a rinviare la decisione per la mancanza della maggioranza qualificata.
L’inaspettata risoluzione approvata dal Parlamento Europeo in questi ultimi giorniche prevede di rinnovare l’autorizzazione non più per 15, ma per 7 anni esprime una grandissima ipocrisia e ignora totalmente il principio di precauzione. Per decisioni come queste non ci sono mezze misure: o ci sono prove certe che il glifosato non ha conseguenze sulla salute o i dubbi ci sono e allora è indispensabile vietare del tutto l’erbicida, perlomeno fino a quando non sarà conclusa una valutazione scientifica indipendente.
Il Parlamento europeo, nella risoluzione approvata, propone di vietare l’uso degli erbicidi a base di glifosato solo in aree verdi, pubbliche e private, il che non basta a evitare la contaminazione su larga scala di cibo, acqua, suolo e aria, ma esprime anche un’evidente contraddizione: se la sostanza rappresenta un rischio nelle aree urbane è evidente che ne deve essere vietato l’uso fino a quando non ci saranno certezze sul piano scientifico.
La nostra battaglia quindi continua; chiederemo al Governo di mantenere ferme le posizioni già espresse, opponendosi in tutti i modi nei prossimi appuntamenti a livello europeo al rinnovo dell’autorizzazione.
Questa campagna ha più significati, tutti importanti. In primo luogo, pretende che, nel rispetto dei principi democratici, le istituzioni europee e nazionali rispondano della loro responsabilità di proteggere prioritariamente la salute dei cittadini e non l’interesse economico delle industrie chimiche, adottando il principio di precauzione senza cedere alle loro pressioni; in gioco c’è la credibilità dell’Unione europea. Sottolinea l’interesse collettivo nella tutela dell’ambiente, per la protezione delle acque e degli habitat naturali che vengono contaminati dall’erbicida.
Ma la campagna vuole anche rendere evidente che le alternative al glifosato esistono: sono le buone pratiche agronomiche, ecologiche e sostenibili anche sul piano economico a partire dai metodi di coltivazione biologici e biodinamici. Pratiche come lo sfalcio e la trinciatura delle erbe non possono essere considerate un ritorno al passato: sono, piuttosto, una delle risposte a una serie di emergenze, come il drastico impoverimento della sostanza organica nel terreno, l’esigenza di limitare l’erosione dei suoli e quella di proteggere la biodiversità e gli habitat naturali. Vogliamo affermare che è giunto il momento di cambiare modello agricolo. Tutte le grandi questioni che abbiamo di fronte (cambiamenti climatici, sicurezza alimentare, ambiente, energia…), dimostrano che il modello di agricoltura industriale basato sulla chimica di sintesi che si è affermato negli ultimi decenni è ormai fallito sul piano agronomico, su quello ambientale e su quello economico e sociale. È un modello superato che non rappresenta più l’innovazione necessaria per affrontare le sfide attuali e future. Oggi la vera innovazione è rappresentata da un insieme di tecniche agricole fondate sulla conoscenza delle dinamiche naturali, delle specificità territoriali e basate su principi ecologici.
La vera innovazione è adottare l’approccio agroecologico, per migliorare la fertilità dei suoli, diversificare le produzioni, garantire raccolti adeguati e affrontare il controllo dei parassiti e delle erbe seguendo e monitorando le dinamiche naturali.
Le tecniche di agricoltura biologica e biodinamica sono in grado di aumentare la sostanza organica dei suoli, la capacità di sequestro di carbonio, quella di trattenere acqua riducendo le necessità d’irrigazione, aumentando contemporaneamente la produttività nel medio e lungo periodo, e oggi chiedono più conoscenza , ricerca, formazione e supporto tecnico.
Sono queste le tecniche innovative in grado di rispondere in maniera più adeguata alla domanda di cibo buono e sano a tutela della salute dei cittadini, alla mitigazione del cambiamento climatico e a offrire nuovi spazi economici e di lavoro per i giovani.

di Mariagrazia Mammuccini
Fonte: Teatro Naturale