Su un totale di 4682, nel convenzionale il 47,6% dei campioni contiene pesticidi e oltre il 30% più sostanze insieme, mentre nel bio l’87,7% è completamente libero da fitofarmaci. Cresce il multiresiduo. Sono i dati del dossier annuale Stop pesticidi nel piatto di Legambiente

La fotografia aggiornata dei residui di fitofarmaci negli alimenti mostra un quadro ancora contraddittorio e lontano dalle promesse di un’agricoltura finalmente sicura e sostenibile. È quanto emerge dal dossier Stop pesticidi nel piatto 2025 (pdf) di Legambiente, realizzato con il sostegno di AssoBio e Consorzio Il Biologico, unendo impegno ambientalista, esperienza del biologico e rappresentanza delle imprese, che analizza 4.682 campioni tra frutta, ortaggi, cereali, prodotti trasformati e alimenti di origine animale, provenienti dall’agricoltura convenzionale e biologica.

Se da un lato oltre la metà dei campioni di cibi da agricoltura convenzionale risulta priva di residui (50,94%, dato però in flessione rispetto all’anno precedente in cui i campioni privi di residui erano il 57,32%), dall’altro quasi il 48% contiene tracce di uno o più fitofarmaci. Il 17,33% presenta un solo residuo, mentre il 30,26% multiresiduo, un dato in evidente peggioramento con un incremento del 14,93% rispetto all’anno scorso. Una criticità tutt’altro che marginale, considerando che l’“effetto cocktail” continua a sfuggire al perimetro della normativa europea sull’utilizzo dei pesticidi: le autorizzazioni restano calcolate sostanza per sostanza, come se l’esposizione reale non fosse quasi sempre combinata.

La percentuale complessiva di irregolarità rispetto ai limiti fissati dall’Ue (1,47%) può sembrare contenuta, ma non racconta il rischio reale: non considera le esposizioni cumulative, gli effetti additivi e sinergici, né l’impatto nel tempo su ecosistemi e salute. E la frutta si conferma il comparto più problematico: tre campioni su quattro (75,57%) contengono multiresiduo e il 2,21% risulta non conforme, con frequenti superamenti dei limiti di legge. Nei prodotti orticoli la situazione è migliore, ma resta complessa: residui nel 40,17% dei casi, sebbene con non conformità limitate (1,03%). Meglio i prodotti trasformati (32,89% con residui) e molto positivo il quadro relativo al settore animale, con quasi l’88% dei campioni totalmente esenti, anche se, in questo caso, sarebbe opportuno ampliare l’analisi dei residui includendo anche la presenza di sostanze come gli antibiotici.

Tra le sostanze più rilevate compaiono insetticidi e fungicidi di uso diffuso – Acetamiprid, Boscalid, Pirimetanil, Azoxystrobin, Fludioxonil – mentre diversi casi emblematici raccontano la persistenza di molecole tossiche e vietate come peperoni italiani con Tetramethrin (non più autorizzato dal 2002) o il ritrovamento di DDT in campioni di patate e zucchine, simbolo storico della contaminazione persistente.

Decisamente più rassicurante il biologico: l’87,7% dei campioni analizzati è totalmente privo di residui, solo un caso di irregolarità complessiva, probabilmente dovuta al fenomeno della deriva dei pesticidi dalle aree limitrofe. Un risultato che conferma come i sistemi a basso input chimico siano già oggi un modello efficace e competitivo.

Le proposte di Legambiente per una svolta nelle politiche sui pesticidi

Legambiente chiede un cambio di passo concreto: approvazione urgente del SUR in Europa e del PAN con obiettivi stringenti di riduzione; potenziamento del monitoraggio e del biomonitoraggio ambientale; misure penali chiare contro la produzione e il traffico di pesticidi illegali; supporto reale agli agricoltori nella transizione verso biologico e agricoltura integrata avanzata. Il dossier insiste su un punto politico decisivo: il diritto all’alimentazione sicura non può essere affidato solo ai controlli finali o alle scelte dei consumatori. Serve una visione pubblica, un Green Deal agricolo che non arretri di fronte alle pressioni dell’agribusiness e che introduca strumenti concreti per spingere la transizione ecologica del settore.

Per Legambiente questo significa incentivi mirati per chi converte al biologico, sgravi fiscali e semplificazioni per le aziende che adottano pratiche a basso impatto, un’IVA ridotta sui prodotti bio e sostenibili e un ruolo guida delle istituzioni attraverso mense pubbliche che acquistino in modo strutturale prodotti biologici, locali e di qualità, diventando il motore di un vero cambiamento della domanda. Politiche pubbliche che trasformino il mercato, garantiscano reddito agli agricoltori e assicurino cibo sano e accessibile a tutta la popolazione, non solo a chi può permetterselo. […]

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FONTE


TESTATA: La Nuova Ecologia
AUTORE: redazione
DATA DI PUBBLICAZIONE: 11 dicembre 2025