L’agricoltura biologica promuove un modello economico circolare, sostenibile ed equo per tutti gli attori della filiera, nonché una relazione etica tra la terra e le persone. Come definito dai principi IFOAM*, il modello biologico punta a costruire relazioni che assicurino equità nell’ambiente comune, pari opportunità di vita e giustizia sociale a tutti i livelli della filiera: agricoltori, lavoratori, trasformatori, distributori, commercianti e consumatori. Per sua definizione, dunque, tale modello si pone nettamente in antitesi con tutte le forme di illegalità e sfruttamento.

I numeri evidenziano che il biologico è un settore che dà più occupazione in termini di persone impiegate e paga meglio il cibo prodotto. Gli esempi del gap esistente tra prezzo corrisposto nel convenzionale e nel biologico sono molti. Per il grano duro va dai 20 centesimi al chilo pagati a chi coltiva i campi convenzionali ai 39 per il bio e ai 47 centesimi per i grani antichi certificati. Sul campo convenzionale un chilo di pomodori da passata, per fare un altro esempio, viene pagato 8 centesimi, nel biologico si arriva a retribuire lo stesso chilo di pomodori anche 33 centesimi. Differenze che pesano se l’obiettivo è il contrasto allo sfruttamento dei lavoratori e il giusto riconoscimento del lavoro. In media si rileva che la manodopera nelle aziende bio viene pagata almeno un 6% in più. Da questi dati si può affermare che il biologico offre, anche sul fronte occupazionale, maggiori garanzie.

In quanto federazione nazionale a tutela dell’agricoltura biologica, tali valori cardine sono alla base dell’agire di FederBio che da sempre è in contrasto con ogni forma di lavoro nero e schiavitù. I suddetti principi di legalità vengono posti come pilastri del codice etico definito dalla federazione.

FederBio, inoltre, collabora costantemente con le autorità competenti per segnalare eventuali azioni non trasparenti che favoriscano attività di sfruttamento o caporalato. Il 25% di chi lavora nell’agricoltura in Europa è irregolare o illegale e in Italia si supera il 30%, secondo il report ANPAL (Agenzia Nazionale Politiche Attive del Lavoro). L’indagine evidenzia che i braccianti prestano servizio spesso tra inadempimenti contributivi, bassa retribuzione, orari eccessivi di lavoro e assenza totale di tutela della salute e sicurezza. L’orario medio talvolta supera le 8 ore, arrivando anche a 12, e nei casi di sfruttamento più grave si arriva ad un salario di 1 euro all’ora. In estrema sintesi, è questo il quadro che racconta lo sfruttamento dei lavoratori agricoli. Sfruttamento che FederBio contrasta promuovendo ogni forma di iniziativa volta a debellare la piaga della criminalità nell’agricoltura. Da qui il sostegno a piattaforme come Humus Job, che garantisce contratti regolari ed etici con il riconoscimento del giusto prezzo dei prodotti. Così come “AgriJob” di Confagricoltura, “Lavora con agricoltori Italiani” di CIA, “Jobincountry” di Coldiretti, “Incontro Lavoro Agricoltura” della Regione Veneto e “Io resto in campo” della Cgil: tutte con il compito, per nulla scontato, di far incontrare domanda e offerta in agricoltura, rispettando sempre i principi di legalità.

In linea con gli obiettivi specificati nell’agenda 2030 delle Nazioni Unite, infatti, FederBio orienta la sua azione verso una crescita economica inclusiva e sostenibile, un’occupazione piena e produttiva ed un lavoro dignitoso ed equamente retribuito per tutti.

 

*”Principio dell’Equità” da: “Principles of Organic Agriculture”, Assemblea Generale IFOAM, Adelaide 2005  

 

Fonte: Redazione FederBio