Lettera aperta al premio Nobel Giorgio Parisi da un agronomo e scrittore a proposito del dibattito sulla legge sul biologico e sull’agricoltura biodinamica.

Gentile professore,

sono un agronomo che si è occupato per qualche decina di anni di suoli, a mezzo tra ricerca e cartografia, e alla luce della mia esperienza vorrei farle presente alcune considerazioni, che spero potranno aiutarla a riflettere sulle specificità dell’agricoltura. E forse a farle nascere la curiosità di documentarsi meglio su questa attività che è intrinsecamente legata alla natura. E magari perfino a ripensare almeno in parte le sue affermazioni e prese di posizione a proposito dell’agricoltura biodinamica. Un qualsiasi campo coltivato, con qualsiasi tecnica, è un sistema che pur essendo molto più semplice di un ambiente naturale (gli attori sono meno numerosi), è estremamente complesso, ed estremamente variabile nel tempo e nello spazio (anche a distanze molto ravvicinate). Un sistema del quale allo stato attuale sappiamo molto poco. Sappiamo pochissimo in particolare della sostanza organica presente nel terreno, delle sue forme, dei suoi legami con la frazione minerale, del suo modo di degradarsi.

Alcune ricerche dell’ultimo decennio mettono in discussione radicalmente i fondamenti che sono stati ritenuti validi per due secoli, senza però dare ancora un convincente quadro complessivo. Quando questo comparto è la chiave della fertilità chimica (perché cede elementi alle piante) e fisica (è fondamentale per mantenere una buona organizzazione spaziale e per trattenere l’acqua). Ed è fondamentale per lo stoccaggio del carbonio (la quantità presente nei suoli a livello planetario è tre volte quella contenuta nella vegetazione) che, come sa meglio di me, ha un ruolo essenziale negli equilibri che regolano l’effetto serra. In pochi grammi di suolo, lo si dice sempre, ci sono miliardi di microrganismi, di migliaia di specie differenti. Che sono essenziali per il suo funzionamento, a cominciare dal ciclo degli elementi. Certo le tecniche molecolari disponibili da qualche decennio permettono finalmente di mettere in naso in questo ginepraio, ottenendo buone informazioni su alcune funzionalità d’insieme, ma quando mai avremo dei dati dettagliati, che ci permetterebbero di capire perché in un dato sito si ritrova un determinato pool, che lavora in un modo, e qualche metro più in là le cose sono completamente differenti? E che dire dei virus, che sembrano essere fondamentali per la mortalità dei batteri, dei quali conosciamo poco o niente?

E che dire della fauna del suolo? A cominciare dai lombrichi, dei quali il geniale Darwin ha riconosciuto molto presto il ruolo fondamentale (erano considerati nocivi). Sappiamo qualcosina di qualche specie (sono centinaia, ciascuna con la sua ecologia), ma il più delle volte sono informazioni molto parziali ottenute in laboratorio, lontane dalla complessità della realtà, dalla sua estrema variabilità spaziale. Che lombrichi ci sono nei campi italiani, quali rapporti hanno con i vari ambienti, con i vari microambienti e microclimi, con gli interventi dell’uomo? Che impatto hanno le varie tecniche agronomiche sulle varie specie? Nessuno può rispondere.

Diventa maledettamente complicato provare a mettere assieme i vari linguaggi e le varie informazioni specialistiche. Un bravo ricercatore che si è occupato per tutta la vita di carabidi, e quindi ha ottenuto un discreto dominio delle specie presenti nel territorio geografico di sua competenza (il che non vuol dire conoscere il comportamento di ognuna), poco sa degli altri coleotteri, e ancora meno degli altri animali. E la maggior parte dei microbiologi non sanno in genere nulla degli organismi superiori, ai quali la microflora è legata, e spesso nemmeno degli ecosistemi che studia. E nulla della frazione minerale. […]

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FONTE


TESTATA: Dissapore
AUTORE: Dario De Marco
DATA DI PUBBLICAZIONE: 18 febbraio 2022