Intervista a Cristina Micheloni e Paolo Carnemolla. La presidente di Aiab Friuli-Venezia Giulia e il segretario generale di FederBio hanno messo a fuoco i problemi, soprattutto burocratici e di costo, che la certificazione del biologico crea ai produttori, e indicato i possibili miglioramenti da apportare al sistema.

Il sistema di certificazione dei prodotti biologici – reso obbligatorio dei regolamenti europei fin dal 1991 – prevede dei costi e degli adempimenti burocratici che possono rappresentare un ostacolo per le piccole aziende agricole bio e per quelle che vogliono iniziare a produrre in modo biologico. Sta di fatto che alcune realtà sono uscite dal sistema e altre non hanno nessuna intenzione di entrarvi. Di questo problema abbiamo parlato con Cristina Micheloni, presidente di Aiab Friuli-Venezia Giulia, e Paolo Carnemolla, segretario generale di FederBio, federazione di organizzazioni di tutta la filiera dell’agricoltura biologica e biodinamica.

Cosa si può fare affinché la certificazione del biologico non scoraggi le aziende interessate a produrre?

Micheloni. Per prima cosa non credo siano davvero i costi l’ostacolo principale, ma piuttosto il fardello burocratico che il sistema di certificazione implica, nonché i rischi delle sanzioni che non sono per nulla commisurate alla dimensione aziendale e al «peso» di eventuali errori o mancanza di rispetto delle regole. Sottolineo come, soprattutto nelle piccole aziende, si tratti per lo più di errori formali di compilazione, legati spesso alla scarsa dimestichezza con la burocrazia o alla mancanza di tempo. Soluzioni facili e immediate non ce ne sono. Ci sono però iniziative private, legate a filiere, anche di notevoli dimensioni e valore economico, che offrono ai piccoli produttori che forniscono la materia prima il supporto burocratico necessario. Tali esperienze funzionano bene, ma insistono su filiere con un buon valore aggiunto, per esempio il vino che produce margini tali da rendere possibile il servizio. Qualcosa di analogo sui seminativi, anche cofinanziato con fondi pubblici, sarebbe un utile servizio.

Carnemolla. È necessaria una drastica e significativa semplificazione degli adempimenti e delle procedure, anzitutto integrandoli tra quelli necessari sul fascicolo aziendale e sul Sian, il Sistema informativo unificato di servizi del comparto agricolo messo a disposizione dal Ministero dell’agricoltura e da Agea. Andrebbe poi introdotta un’estesa digitalizzazione che consenta a tutti i soggetti coinvolti di operare su un’unica piattaforma di scambio e validazione delle informazioni. È inoltre importante inserire un approccio di filiera alla certificazione, sia che si tratti di rapporti verticali fra produttori e altri operatori della filiera, sia che riguardi reti di impresa fra produttori nell’ambito di distretti biologici. Un altro punto fondamentale è sostenere economicamente la consulenza anche sugli aspetti connessi alla certificazione, dato che con la nuova normativa europea ai produttori viene chiesto di assumersi ancora più direttamente la responsabilità nell’autocontrollo e nella gestione dei rischi di non conformità e di indagine rispetto a queste situazioni, in particolare per quanto riguarda contaminazioni da sostanze non ammesse.

Nemmeno l’introduzione della certificazione di gruppo ha invertito la rotta…

Micheloni. La certificazione di gruppo, inclusa anche per i produttori europei nell’ultimo regolamento (n. 848/2018), nel modo in cui è stata formulata è in pratica inapplicabile. Purtroppo, le condizioni in cui si può utilizzare sono scritte nel corpo del regolamento e non negli atti delegati, cosa che richiede per ogni variazione dei passaggi complessi e lunghi. In buona sostanza, la certificazione di gruppo così com’è non ci aiuta! In Friuli-Venezia Giulia abbiamo in corso un progetto di cooperazione decentrata con il Brasile, nell’ambito del quale abbiamo messo in luce come la certificazione di gruppo funzioni bene in Brasile, ma sia inapplicabile in Friuli, nello specifico su una filiera cereali-farina- pane che è stata costruita a partire da terreni di proprietà collettiva. Concluderemo il progetto con delle proposte normative e se ci fossero altre spinte da parte di altri gruppi che si sono cimentati nell’applicazione della norma e hanno maturato proposte su come cambiarla e l’urgenza di farlo, magari riusciremmo a convincere la Commissione europea.

Carnemolla. È un tipo di certificazione che è stata introdotta per favorire principalmente i piccolissimi produttori dei Paesi terzi, mentre nell’UE e in Italia sarebbe invece necessario riconoscere il ruolo delle organizzazioni di produttori (Op), delle filiere contrattualizzate e dei contratti di rete in ambiti territoriali definiti, per esempio i distretti biologici, per dare un concreto impulso alla semplificazione, favorire l’aggregazione e aiutare i piccoli agricoltori.

La tecnologia può giocare un ruolo centrale per superare l’eccessiva burocratizzazione della certificazione?

Micheloni. La tecnologia, soprattutto quella digitale, può aiutare ed è anche già utilizzata, però non è una bacchetta magica e, paradossalmente, spesso si scontra con il basso grado di digitalizzazione e interoperabilità – intendo la possibilità di interfacciarsi e scambiare dati tra sistemi e data- base di enti diversi – dei sistemi informatici degli enti pubblici. Mentre molta tecnologia cerca di facilitare o garantire lo scambio di documenti, il vero problema è la veridicità dei dati e il loro continuo e tempestivo monitoraggio. Infine, credo sia un’opportunità persa e metta a rischio la credibilità dello strumento tecnologico l’attuale uso della digitalizzazione per un banale storytelling, mi riferisco ai QR Code sulle etichette che rimandano al sito aziendale o a una narrativa sull’azienda produttrice in chiave promozionale, ma che nulla fornisce in più, in termini di garanzia sulla veridicità dei dati, dell’etichetta standard.

Carnemolla. Dal 2013 per FederBio l’utilizzo delle tecnologie e piattaforme digitali a sistema è indispensabile non solo per semplificare gli adempimenti a carico degli operatori e ridurre quindi i costi diretti e indiretti del sistema, ma anche per garantire tracciabilità e trasparenza. Con l’affermarsi dell’agricoltura di precisione e delle piattaforme di Land Management che utilizzano anche dati satellitari, basi di dati su ogni aspetto della situazione dei terreni, delle colture, dei mezzi tecnici e dell’agrometeorologia, è aumentata enormemente la possibilità di trasparenza anche nella gestione agronomica e della stalla, potendo così ridurre e ottimizzare l’impiego di personale degli organismi di certificazione e dei consulenti. Fare correttamente agricoltura biologica con queste tecnologie, ormai a bassissimo costo e sostenute da contributi pubblici, è decisamente più semplice, perché si può contare su un supporto informativo nel prendere decisioni per prevenire rischi e ottimizzare le rese. Devo tuttavia sottolineare che tutti i tentativi che FederBio ha fatto finora per una transizione digitale del settore biologico, anche attraverso piattaforme tecnologiche dedicate, sono rimasti al palo o addirittura contrastati da un sistema dove la carta ha ancora un ruolo importante e dove, a volte, si preferisce fare marketing parlando di blockchain, ma non delle informazioni che questa tecnologia deve validare.

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FONTE


TESTATA: L’Informatore Agrario
AUTORE: Giorgio Vincenzi
DATA DI PUBBLICAZIONE: 27 giugno 2023