L’ attesa firma della ministra Teresa Bellanova, a fine luglio, ha dato il via libera al Decreto 7264Contaminazioni accidentali e tecnicamente inevitabili di prodotti fitosanitari in agricoltura biologica”, che aggiorna i limiti delle contaminazioni accidentali e tecnicamente inevitabili da fosfiti in frutticoltura e viticoltura biologica, ponendo fine a una situazione di ambiguità normativa che danneggiava i produttori biologici. Il provvedimento del Mipaaf fa seguito a specifiche attività di ricerca finanziate dal Ministero, condotte dal CREA e già avviate nel 2016 con la collaborazione di FederBio e UIV (Unione Italina Vini).

Con l’obiettivo di comprendere tutti gli elementi utili di questa novità normativa e le loro ricadute sul comparto produttivo, si è tenuto di recente il webinar “LMR fosfiti nel biologico: i passi avanti del nuovo decreto” organizzato da Unione Italiana Vini e FederBio, alla presenza dei rispettivi segretari generali, Paolo Castelletti e Paolo Carnemolla.

I diversi aspetti di una questione molto complessa, sia dal punto di vista normativo che scientifico, sono stati affrontati in maniera esauriente grazie alla complementarità dei profili dei relatori che rappresentavano le diverse parti interessate. A Daniele Fichera, coordinatore del Comitato tecnico e normativo di FederBio, il compito di ricostruire la problematica generale e la sua evoluzione nel corso degli anni. “Tra il 2013 e il 2014 – ha raccontato Fichera – l’Unione europea ha riconosciuto come sostanze attive con attività fungicida i fosfonati di sodio e di potassio, che non sono ammessi in biologico, con la conseguenza che per la determinazione di queste sostanze negli alimenti si deve ricercare anche la presenza di acido fosforoso. Per individuare le cause del problema il Mipaaf ha incaricato il CREA di realizzare due progetti sui fosfonati: Biofosf e Biofosf Wine”.

Se il progetto Biofosf (2016-2018) è stato dedicato a identificare le cause di contaminazione da fosfiti dei prodotti ortofrutticoli biologici, Biofosf Wine (2018-2020) è stato specificamente incentrato sul vino biologico. “La presenza di questi residui – ha spiegato Alessandra Trinchera, ricercatrice del CREA e coordinatrice di entrambi i progetti – può infatti avere diverse origini. Può essere determinata dall’uso di prodotti per la difesa e fertilizzanti autorizzati in agricoltura convenzionale e non in agricoltura biologica, ma anche dall’applicazione inconsapevole di mezzi tecnici ammessi in biologico.”

Nelle colture arboree e quindi anche nella vite, queste sostanze si possono accumulare nel tempo. Quindi è possibile rilevare residui di acido fosfonico nelle uve e nei vini, anche diversi anni dopo l’interruzione del loro utilizzo, come ad esempio in vigneti ancora in conversione biologica o appena convertiti. “L’analisi di diversi campioni di vino – conclude Trinchera – ha permesso di definire i limiti che, pur garantendo la qualità e la sicurezza del vino biologico, sono compatibili con i vincoli che devono rispettare i produttori.”

Il nuovo Decreto di modifica del DM 309 rappresenta dunque un importante passo in avanti su un tema molto critico per il settore che rischiava di causare danni ingenti alla produzione biologica in agricoltura. Sono stati in particolare Roberta Cafiero e Giacomo Mocciaro del Mipaaf, ad analizzare in dettaglio il contenuto normativo. “I limiti massimi di residui di acido fosfonico e di acido etilfosfonico – hanno specificato – sono stati considerati separatamente e per entrambi è stato stabilito un periodo transitorio fino al 31 dicembre 2022 che dovrà essere sfruttato dai produttori per monitorare la presenza di residui e cercare di ridurli nel corso del tempo.”

“La conoscenza da parte delle aziende dei contenuti di fosfiti nei loro prodotti biologici, così come la valutazione corretta degli esiti analitici – ha specificato Katia Guardini, responsabile del Laboratorio UIV di Verona – è fondamentale per poter attuare scelte aziendali oculate. È necessario uno screening dei mezzi tecnici e un’idonea qualifica dei fornitori, nonché l’analisi dei possibili inquinamenti generati dal processo di vinificazione, dovuti a materiali ausiliari contaminati. Infine, devono prevedere una fase di monitoraggio analitico periodico dei residui”.

Ma non solo. Sarà essenziale che le cantine bio – spesso realtà con una forte propensione all’export – siano informate dell’impatto che i limiti massimi di residui (LMR) di fosfiti possono avere nei principali mercati internazionali. “Quando il vino biologico italiano arriva sul mercato statunitense – ha spiegato Elisabetta RomeoVareille, policy officer UIV – si applica infatti l’accordo di equivalenza, che prevede alcune restrizioni e alcuni requisiti specifici. Per quanto riguarda la tematica dei residui di sostanze fitosanitarie, i vini Ue certificati bio possono essere esportati in Usa come bio, solo se prodotti in base a determinati parametri; qualsiasi sia il livello di residui, il certificatore deve effettuare un’indagine per chiarire quali siano le cause di contaminazione. ”

La varietà dei quesiti posti dai numerosi partecipanti – sono stati infatti oltre 170 gli iscritti al webinar – nel dibattito finale ha permesso di misurare l’estremo interesse degli operatori verso le tematiche trattate e il bisogno di fornire alcuni chiarimenti interpretativi del testo in corso di pubblicazione. Il metodo basato su un fitto scambio di comunicazioni e di concertazione fra le parti interessate ha permesso di compiere progressi significativi. Il lavoro di squadra ha portato i suoi frutti e sarà proseguito in futuro per realizzarne altri su queste e altre tematiche. […]

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FONTE


TESTATA: Il Corriere Vinicolo
AUTORE: Elisabetta Romeo-Vareille
DATA DI PUBBLICAZIONE: 28 settembre 2020