Nelle settimane scorse sono state depositate proposte di legge sia al Senato, da parte del Presidente della 9ª Commissione permanente (Industria, commercio, turismo, agricoltura e produzione agroalimentare) che alla Camera, dal Segretario della Commissione Agricoltura, che definiscono i prodotti delle ngt/tea non equiparabili agli ogm ma assimilabili a varietà derivate da mutazioni naturali o selezioni tradizionali. In questo modo si cerca di scavalcare la normativa attualmente in vigore nel nostro Paese che vieta la sperimentazione in campo aperto degli ogm anticipando di fatto eventuali disposizioni europee in materia.

Questa definizione, infatti, è in contrasto con l’attuale normativa europea che, con la sentenza della Corte di Giustizia dell’Ue, ribadisce come le Ngt non possano essere considerate fuori dal perimetro della Direttiva 2001/18, che definisce e regola gli ogm, obbligando a una valutazione del rischio, tracciabilità ed etichettatura. Con un via libera senza regole sulle Nuove tecniche del genoma alimentare (ngt) la prima vittima sarebbe proprio l’agricoltura biologica. Il rischio è pregiudicare gli aspetti distintivi del metodo biologico, poiché senza una regolamentazione adeguata su queste nuove tecnologie sarebbe di fatto impossibile mantenere e rafforzare la propria specificità che le esclude dal processo produttivo.

Per questo è necessario un quadro giuridico che, come avviene per gli ogm, garantisca la protezione da contaminazioni accidentali e la massima trasparenza e tracciabilità delle filiere. Per il mondo del bio, come sostenuto ormai da tempo da Ifoam a livello europeo, è indispensabile che anche sulle ngt sia condotta un’attenta valutazione del rischio e soprattutto vengano elaborati metodi e strategie per identificare i prodotti derivanti dalle ngt affinché si possano attivare i necessari controlli. Questo è fondamentale per garantire tracciabilità e trasparenza e dare quindi ai cittadini la possibilità di effettuare acquisti consapevoli e agli agricoltori di scegliere il metodo di produzione.

L’agricoltura biologica si fonda sull’agroecologia e quindi su un approccio sistemico e trans-disciplinare che vede l’azienda agricola e il territorio rurale come sistema integrato basato sull’interazione tra le migliori pratiche agronomiche ed ecologiche, adatte alle condizioni locali piuttosto che all’uso di input, e orientate prima di tutto alla conservazione e al miglioramento della fertilità dei suoli e dell’agro-biodiversità, alla salvaguardia dell’ambiente e ad una produzione ottenuta con sostanze e procedimenti naturali senza utilizzo di chimica di sintesi. Il metodo di produzione biologico esplica pertanto una duplice funzione economica e sociale da un lato e dall’altro di produzione di beni pubblici che contribuiscono alla tutela dell’ambiente, al governo del territorio, al contrasto e all’adattamento al cambiamento climatico.

In questa direzione l’innovazione fondamentale consiste nell’adottare un approccio olistico in grado di interpretare la complessità della natura e puntare sulla resilienza dei sistemi agroecologici piuttosto che su quella della singola pianta. Per sostenere un tale metodo e la diffusione sempre più ampia del biologico e dell’agroecologia sono necessari investimenti in ricerca, innovazione e sistemi di conoscenza. Occorre quindi che si superino rapidamente le difficoltà burocratiche che stanno bloccando finanziamenti già deliberati da alcuni anni per la ricerca sul biologico e soprattutto è necessario dare rapida attuazione alla legge 23/2022 sull’agricoltura biologica che all’articolo 11 prevede, in coerenza con il Piano d’azione Ue sul biologico, che in sede di ripartizione del Fondo ordinario per gli enti di ricerca finanziati dal Miur una quota parte sia destinata alle attività di ricerca per il biologico e che nel piano triennale del Crea siano previsti interventi per la ricerca nel settore della produzione biologica.

Lo stesso articolo prevede, inoltre, che vengano promossi specifici percorsi formativi nelle Università pubbliche attraverso l’attivazione di corsi di laurea, dottorati di ricerca, master e corsi di formazione in tema di produzione biologica. Tutto ciò è fondamentale affinché la ricerca pubblica sia in linea con l’obiettivo indicato nel Piano Strategico Nazionale della Pac che punta a raggiungere l’obiettivo del 25% di terreni coltivati a biologico al 2027. Investire in ricerca pubblica per la transizione agroecologica è strategico per il nostro Paese. Ed è fondamentale che venga finanziata e portata avanti in maniera trasparente, ponendo attenzione a distinguere tra gli interessi comuni e quelli di una parte dell’industria, puntando a rispondere a quello che i cittadini chiedono in misura sempre crescente, ovvero un’agricoltura veramente sostenibile e agroecologica, che tuteli la biodiversità, le risorse naturali e fornisca cibo sano e di buona qualità.

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FONTE


TESTATA: Il Manifesto
AUTORE: Maria Grazia Mammuccini
DATA DI PUBBLICAZIONE: 11 aprile 2023