Maria Grazia Mammuccini, presidente di FederBio, propone di accelerare la riconversione green

Assalto a farina e olio, accaparramenti di pasta, scaffali svuotati, supermercati che razionano. A tre settimane dal suo inizio, l’impatto della guerra in Ucraina sta provocando panico anche sulla catena agroindustriale europea e mondiale. L’allarmismo degli europei per le scorte alimentari è presumibilmente esagerato; le zone maggiormente colpite dal mancato o ridotto approvvigionamento da Russia e Ucraina sono soprattutto i Paesi del Nord Africa e il Medio Oriente dove, tra il 2010 e il 2011, proprio la carenza e l’aumento di pane e cereali scatenò le rivolte che portarono alle Primavere arabe. Tuttavia la crisi ucraina si somma all’emergenza climatica, alla pandemia e alla crisi energetica già in atto. Tutti fattori che hanno avuto un notevole impatto sul mercato agroindustriale, con diminuzione delle materie prime, difficoltà di movimento dei mercantili e aumento di prezzi.

In Europa il conflitto rischia così di innestare un effetto domino pericoloso soprattutto per le sorti del Green Deal e della transizione ecologica. In Francia sia i sindacati che il presidente Macron chiedono “sovranità alimentare”. In Italia l’atmosfera è simile: durante il question time del 9 marzo il presidente del Consiglio Mario Draghi, dopo aver incontrato il ministro delle Politiche agricole Stefano Patuanelli, ha dichiarato che per l’agroalimentare bisognerà “agire come per l’energia”, ossia diversificando e aumentando la produzione europea. “Non è facile aumentare la superficie coltivabile sulla base dei regolamenti comunitari. Occorrerà quindi riconsiderare il contesto regolatorio che ci ha accompagnato, va rivisto per questo periodo di emergenza”. Il rischio è quindi, in tutta Europa, che l’ansia e la preoccupazione per le derrate alimentari e il caro prezzi finiscano per allentare le normative ambientali in vigore.

La preoccupazione del mondo del biologico è netta. “Cogliere questa fase per riproporre il modello di agricoltura intensiva e la dipendenza dalle multinazionali dell’agrochimica: è un rischio sotto gli occhi di tutti”, commenta Maria Grazia Mammuccini, presidente di FederBio. “Sta succedendo in tutti i Paesi europei, si stanno mettendo in discussione le politiche comunitarie dicendo che le priorità sono altre. In realtà la crisi attuale è parte di un modello produttivo che non funziona più e che ha attivato una crisi climatica di cui tutti vediamo gli effetti”. Le difficoltà per le imprese agricole ci sono e sono notevoli, ma è così da ben prima della guerra in Ucraina. “Il conflitto ha portato ulteriori criticità ma, almeno in Italia, non è la causa della carenza di grano o dell’aumento di prezzi”, continua Mammuccini. “Il dato di importazione di grano ucraino nel nostro paese è intorno al 6%”. Il meccanismo speculativo è uno dei fattori di cui tener conto per spiegare l’aumento dei prezzi secondo la presidente di FederBio: “Un punto critico importante è sicuramente l’aumento dei costi energetici, già presente prima del conflitto. La crisi pandemica generale poi ha attivato uno sconquasso a livello di sistemi economici e finanziari, nel quale si sono inseriti dei meccanismi speculativi molto forti”.

Eppure, questa situazione già difficile da anni, spesso a causa del cambiamento climatico, peggiorata con la pandemia e adesso con le tensioni e il conflitto russo-ucraino, sarebbe una buona occasione per rilocalizzare i processi produttivi e accorciare le filiere, nel solco della sostenibilità.

“Questa è una linea di demarcazione molto delicata”, osserva Mammuccini. “Per il mondo del bio, l’idea di accorciare le filiere è un’occasione per accelerare la riconversione verso il Green Deal. Quello che sta succedendo deve spingere a cambiare modello produttivo, creando sistemi di consumo alimentare ed energetico a livello locale, senza scivolare in un protezionismo che chiude le frontiere”. […]

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FONTE


TESTATA: Ansa
AUTORE: Redazione
DATA DI PUBBLICAZIONE: 12 marzo 2022