Il sistema di produzione del cibo come paradigma di una nuova era

Non esiste oggi settore dell’economia che come l’agricoltura ha una incidenza così rilevante sul consumo delle risorse e sugli equilibri del pianeta e che al tempo stesso possa offrire, e già offre, un modello sano e sostenibile di produzione del cibo. L’attività produttiva che per millenni ha fornito energia alimentare all’umanità, oggi ha un bilancio gravemente passivo: è interamente dipendente dal petrolio. Non è l’unico paradosso. Essa consuma su scala mondiale il 70% dell’acqua disponibile sul pianeta, distrugge, per via della concimazione chimica, tra i 10 e i 12 milioni di ettari di suolo fertile ogni anno, inquina le acque dei fiumi e delle baie marine, riduce la biodiversità, è responsabile per il 30/40% dell’alterazione del clima. A fronte di tanto danno essa fornisce cibo sempre più innaturale e di scarsa qualità organolettiche, contaminato dai pesticidi, carni da allevamenti intensivi, responsabili della resistenza agli antibiotici che si sta diffondendo su larga scala tra la popolazione umana. Basterebbero questi soli dati per decretare l’insostenibilità assoluta dell’agricoltura industriale capitalistica, che nel corso di un secolo ha trasformato l’ambito naturale dell’alimentazione umana nel più grave problema ambientale del nostro tempo.

Eppure da almeno un secolo esiste un’agricoltura alternativa, diffusa su piccola scala in tutti i continenti, che è stata definita nel corso del tempo organica, biodinamica, biologica e ora agroecologica. Essa ha scelto la scala della piccola impresa, la combinazione tra produzione agricola e allevamento, per utilizzare il letame e rigenerare continuamente la fertilità del suolo, persegue la conservazione della biodiversità, la qualità del prodotto più che il profitto, il ricorso a sistemi naturali di difesa dai parassiti e dalle malattie. È questa l’agricoltura del presente e dell’avvenire, fondata su un atteggiamento di cura e rigenerazione delle risorse, che esalta la varietà delle colture e valorizza l’immenso patrimonio della biodiversità agricola lasciata in eredità dal mondo contadino, fa cooperare i saperi tradizionali con le cognizioni scientifiche più avanzate finalizzate all’economia circolare. È questa, non gli Ogm, la strada più promettente per affrontare il riscaldamento climatico in atto.

L’Italia, con circa 2 milioni di ettari è il secondo Paese per estensione di colture biologiche in Europa, contribuendo per il 15% a questo modello agricolo a livello continentale. Grazie a tale nuova frontiera produttiva, che si va affermando in tutto il mondo, l’Italia – in coerenza con la sua secolare, inimitabile ricchezza agricola e alimentare – costituisce una piccola avanguardia. Essa può mostrare come l’agricoltura è in grado di produrre cibo sano senza distruggere e avvelenare il suolo, consumando poca acqua, risparmiando energia, limitando la produzione di CO2, valorizzando le aree di collina, che l’agricoltura industriale degli ultimi decenni ha desertificato, svuotando cittadine, paesi, borghi e lasciando senza presidi vasti territori che oggi rovinano sotto gli effetti del caos climatico.