La biodiversità è minata dalle monocolture intensive che rubano costantemente spazi alle foreste e richiedono massicce dosi di pesticidi chimici per coltivare prodotti da commercializzare nei mercati di tutto il mondo. Ma questa pratica avvelena la terra e l’acqua e, in breve tempo, distrugge le economie e le popolazioni. I pesticidi nascono però con i mercati allargati e l’ampliamento degli scambi commerciali. Sempre più esigenti, i mercati e il commercio richiedono prodotti con determinati standard che, seguendo i processi naturali, non sempre sono raggiungibili. Ma dopo tanti anni di veleni entrati nella catena alimentare umana, ora le cose stanno cambiando. Da tempo, c’è un ritorno all’agricoltura biologica, dove gli insetti tornano ad avere una funzione importante per i campi.

«Mentre per l’agricoltura convenzionale l’obiettivo è nutrire la pianta per l’aumento immediato delle rese, in agricoltura biologica l’obiettivo è nutrire la terra tutelandone la fertilità, gli ecosistemi e la biodiversità, per garantire cibo sano e nutriente e una stabilità di produzione in grado di rispondere alle esigenze del presente senza compromettere la possibilità di soddisfare i bisogni delle generazioni future.» A dirlo è Maria Grazia Mammuccini, Presidente di FederBio, che continua: «Inoltre, secondo i dati pubblicati dal Rodale Institute, il metodo di coltivazione biologico è in grado di contribuire significativamente alla mitigazione del cambiamento climatico, ad arginare la perdita di biodiversità ed a salvaguardare l’ambiente».

Secondo un recente studio dell’Università di Sydney – aggiunge FederBio – pubblicato sulla rivista “Nature Geoscience”due terzi dei terreni agricoli mondiali sono a rischio di inquinamento da pesticidi, mentre un terzo è ad alto rischio. Il risultato è che sono 92 le sostanze chimiche comunemente utilizzate nei pesticidi agricoli (comprendenti 59 erbicidi, 21 insetticidi e 19 fungicidi), ritenute inquinanti per il suolo, l’atmosfera, le acque superficiali e sotterranee in 168 Paesi, riscontrando che il 61,7% (circa 2,3 milioni di km) dei terreni agricoli europei rientra tra quelli “ad alto rischio”.

NaturaSì e Slow Food Italia puntano invece su semi 100% biologici. “A produrre il 60% dei semi venduti in tutto il mondo sono solo quattro aziende, le stesse che producono pesticidi e concimi impiegati nell’agricoltura industrializzata. Parte delle sementi utilizzate non è ‘riproducibile’ oppure l’autoriproduzione a cura dell’agricoltore non risulta interessante perché instabile e poco produttiva. L’agricoltura biologica necessita di varietà ‘locali’, legate cioè alle caratteristiche delle aree di produzione, oppure selezionate in modo specifico per una pratica agroecologica, in grado di svilupparsi pienamente in campi dove la chimica di sintesi non viene impiegata. Semi che siano in grado di produrre piante con radici ramificate e profonde, in grado di ‘andarsi a cercare’ il nutrimento che non viene fornito in forma immediata dai fertilizzanti chimici di sintesi. L’agricoltura biologica può essere parte della soluzione all’impoverimento agricolo e alimentare. Ma occorre un impegno forte su ricerca e innovazione per lo sviluppo e la selezione di sementi adatte al biologico. Oggi in Italia a farlo sono in pochi, nonostante il nostro Paese sia il secondo per estensione di campi convertiti al biologico”. Ecco perché sostengono la Fondazione Seminare il Futuro che promuove la ricerca e la selezione di sementi 100% biologiche. […]

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FONTE


TESTATA: Ambient&Ambienti
AUTORE: Ruben Rotundo
DATA DI PUBBLICAZIONE: 2 maggio 2021