Il cibo biologico riprende la marcia dopo l’anno orribile 2023. La stima di Nomisma/Nielsen IQ per l’anno mobile ottobre 2023/settembre 2024 indica vendite in crescita nella GDO del 4,9% a volume e del 4,5% a valore. La scorsa settimana, nell’ambito della fiera bolognese Marca, Nielsen IQ ha confermato per l’intero 2024 una crescita a valore del 4,5%. Pertanto, il giro d’affari dovrebbe avvicinarsi a 5,7 mld di euro.
«Nel 2023 il biologico ha avuto un rallentamento delle vendite per l’inflazione a due cifre», dichiara a ItaliaOggi Maria Grazia Mammuccini, presidente FederBio. «O meglio, le vendite hanno continuato a crescere a valore mentre hanno subìto un leggero calo a volume. Performando, comunque, meglio del food convenzionale.Dal 2024, con il calo dell’inflazione, le vendite sono subito ripartite, addirittura con un ritmo maggiore a volume. Ricordo, peraltro, che talia è il secondo esportatore mondiale di biologico».
Nielsen IQ stima che dal canale GDO passi il 77% delle vendite di cibo biologico mentre il restante 23% è veicolato da ristoranti, bar, agriturismi e altri esercizi pubblici. L’export invece, nel 2023, ha raggiunto 3,64 mld, in crescita dell 8%. Nonostante i progressi, in Italia, l’incidenza del biologico sulla spesa alimentare è contenuta: il 3% contro il 13% della Danimarca, il 7% di Francia e Germania e il 6% degli Stati Uniti. Nel carrello della spesa degli italiani, i prodotti bio più frequenti sono, a valore: olio extravergine, creme spalmabili, frutta, pasta senza glutine, piatti pronti vegetali, banane, snack. Secondo Nomisma, almeno un prodotto alimentare di questa tipologia è stato acquistato dal 93% degli italiani compresi fra 18 e 65 anni. Solo 12 anni fa la percentuale era del 50%, con un salto da 13 a 24 milioni di consumatori.
Tuttavia, secondo Nomisma, fra i consumatori ci sarebbe scarsa consapevolezza sui prodotti alimentari freschi o trasformati che riportano in etichetta il claim “Residuo Zero” (le tracce dei fitosanitari sono inferiori o uguali a 0,01 mg/kg). Due consumatori su tre ritengono, erroneamente, che il metodo di produzione collegato a questi alimenti non preveda affatto l’utilizzo di chimica di sintesi, una percezione particolarmente diffusa tra chi non consuma prodotti biologici.
«Oggi più che mai è fondamentale fare chiarezza sui green claim e sulla differenza tra prodotti biologici e a Residuo zero», sottolinea Mammuccini. «Quella biologica, è l’unica forma di agricoltura certificata da normative europee a garanzia di pratiche sostenibili che non fanno uso di chimica di sintesi e puntano a incrementare la fertilità del suolo, la biodiversità e a contrastare la crisi climatica. Il Residuo Zero è invece un tipo di agricoltura che ricorre alla normale chimica di sintesi: può ridurre a zero il residuo del prodotto finale, ma nell’ambiente si accumula nel tempo».
Quali i disciplinari seguiti dai produttori di Residuo Zero? «Ci saranno anche dei disciplinari interni dei produttori che puntano a rispettare l’obiettivo», conclude Mammuccini, «ma non c’è un sistema di certificazione che garantisca il consumatore come nel biologico. È necessario fornire un’informazione completa senza ricorrere alla concorrenza sleale».