Dopo quindici anni, tre legislature e molte polemiche, l’Italia ha finalmente una legge sul bio. A inizio marzo il Parlamento ha approvato in maniera definitiva il disegno di legge n. 988, intitolato «Disposizioni per la tutela, lo sviluppo e la competitività della produzione agricola, agroalimentare e dell’acquacoltura con metodo biologico». Dopo tanta attesa e dopo che il dibattito sull’inclusione dell’agricoltura biodinamica nel provvedimento ne aveva ritardato ulteriormente l’approvazione, le associazioni del settore hanno esultato. A loro parere si tratta di «una norma chiave per supportare la transizione ecologica dei sistemi agricoli e per l’intero comparto agroalimentare italiano», una legge che «consente anche all’Italia di allinearsi alle politiche Ue che puntano a una crescita consistente del settore».

Non che negli ultimi tempi non ci sia stata. Tra 2010 e 2020, in Italia, il numero degli operatori è cresciuto del 71% e quello delle superfici dell’88. Questo nel medio termine. Nel breve, però, c’è stato un rallentamento, con le superfici che nel 2020 sono aumentate del 5,1 % e gli operatori solo dell’1,3.

Per migliorare, secondo la presidente di FederBio Maria Grazia Mammuccini, bisogna «dare gambe agli obiettivi della legge attraverso iniziative e strumenti concreti». Complessivamente tra i contributi della Pac, cioè della Politica agricola comune Ue, e poi quelli del Pnrr, e quelli del fondo per il biologico istituito dalla Finanziaria del 2020, e quelli del nuovo fondo per la ricerca e l’innovazione, il settore avrà a disposizione da qui al 2027 quasi tre miliardi di euro. «Così tante risorse – riprende la presidente Mammuccini – non s’erano mai viste. Vanno spese bene».

In Italia, negli ultimi dieci anni, la percentuale di superficie agricola utilizzata per uso biologico è raddoppiata, passando dall’otto al sedici% del totale. Siamo uno dei primi Paesi in Europa. Ma ora l’Unione, con la strategia Farm to Fork, ha indicato per il 2030 l’obiettivo del 25%. I fondi senza precedenti servono per tagliare questo traguardo. Il punto, però, non è solo coltivare. Serve una strategia. «Se eleviamo le produzioni al 25%, chi le compra?», si chiede Giuseppe Romano, presidente dell’Associazione italiana agricoltura biologica, Aiab. I consumi interni di prodotti biologici, nel nostro Paese, sono pari a 3,6 miliardi di euro, con un’incidenza su tutto il settore agroalimentare del 4%. Per questo, secondo Romano, «oltre che sui consumatori bisogna anche sulla ristorazione collettiva: le mense di scuole e ospedali». «Ma per farlo – prosegue il presidente – dobbiamo standardizzare e migliorare le filiere, puntando su informazione e formazione per tutti gli anelli che la compongono».

Per Mammuccini di FederBio, i prezzi sono «un problema, da fronteggiare attraverso più strumenti». A suo parere, uno potrebbe essere un’Iva più bassa per quei prodotti, come quelli bio, che hanno ricadute ambientali positive. Un altro potrebbe essere il credito di imposta sulle certificazioni, che riguardano produttori, trasformatori e distributori biologici. FederBio auspica che queste proposte vengano inserite nel Piano d’azione nazionale per il biologico, che è atteso dal ministero delle Politiche Agricole entro la fine dell’anno. I lavori per la stesura del piano, che si inserisce nel più ampio Piano strategico nazionale della Pac post 2022, sono iniziati e, secondo diversi osservatori, è con questo documento che si inizierà a capire se le opportunità offerte dalla nuova legge verranno concretizzate positivamente. […]

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FONTE


TESTATA: Corriere della Sera
AUTORE: Paolo Riva
DATA DI PUBBLICAZIONE: 17 maggio 2022