«Non doveva succedere». Lo ammette Paolo Carnemolla, segretario generale di FederBio, la federazione che raggruppa gli attori di tutta la filiera del biologico in Italia. Non ci dovevano essere anche i prodotti biologici tra quelli segnalati per la presenza di livelli anomali di residui del pesticida ossido di etilene.
Cosa non ha funzionato nella certificazione biologica?
Io credo che non abbiano funzionato né i sistemi di controllo in India né quelli di ingresso nell’Unione europea. In base ad un accordo bilaterale di equivalenza tra la Ue e l’India, la certificazione bio dei prodotti esportati è in mano alle autorità indiane e qualcosa non ha funzionato. È evidente che la contaminazione deve essere avvenuta nella fase di disinfestazione dei container, con i quali il sesamo viene spedito. Nei container le merci possono rimanere per settimane, in questa fase di caos della logistica dovuta al Covid, anche più a lungo. Per metterle al sicuro dal rischio salmonella, gli esportatori devono aver fatto trattamenti non ammessi. E una volta approdati nei porti soprattutto del Nord Europa, in particolare Olanda e Danimarca, dove è abbastanza evidente che i controlli sono meno efficaci, sono stati distribuiti in Europa sulla base delle documentazioni cartacee, senza particolare attenzione al tipo di trattamento effettuato nei porti di partenza. Ora, fortunatamente, la questione è emersa anche perché l’Ue si è dotata di un regolamento e di controlli ad hoc. Noi pensiamo che la criticità dovrebbe esser limitata alle partite di sesamo consegnate tra settembre e la prima decade di novembre, dato che ora i controlli analitici di fatto sono fatti su tutta la merce importata.
Però si continuano a registrare allerte sul sistema Rasff. Come si spiega?
Per fare gli esami di laboratorio ci vuole tempo e i laboratori accreditati per questo tipo specifico di analisi sono davvero pochi. La normativa richiede che i livelli di ossido di etilene siano determinati come la somma tra l’ossido di etilene e il suo metabolita, il 2-cloroetanolo. In tutti i paesi europei c’è stata la fila degli operatori che trattano sesamo e i risultati continuano ad arrivare anche ora.
Come hanno reagito le aziende biologiche italiane?
Tutto quello che avevano in magazzino o sugli scaffali è stato ritirato dal commercio a fronte di analisi positive. Infatti c’è stato un momento in cui la presenza di prodotti al sesamo si è ridotta significativamente. Non doveva succedere: se è successo è dovuto anche al fatto che il sesamo viene importato in Italia in via indiretta, tramite altri paesi europei e le aziende si sono fidate delle certificazioni nei punti di ingresso nell’Ue dove dovevano essere fatti i controlli.
Quali prodotti alternativi si possono usare per mettere in sicurezza semi e granaglie da paesi a rischio?
Nel biologico sono ammessi i trattamenti fisici – caldo, freddo, vapore – oppure sostanze naturali, cioè non di sintesi, delle quali esiste una lista ben precisa pubblicata in un Regolamento europeo che tutti gli operatori anche indiani conoscono bene. Del resto il consumatore paga per i cibi biologici prezzi maggiori anche perché non si utilizzano gli stessi prodotti e procedure ammessi nel convenzionale.
Cosa avete imparato da questa vicenda?
In una filiera così lunga come quella del sesamo, che viene da altri continenti e da paesi a rischio salmonella, il produttore che sta alla fine della filiera e che mette il suo marchio, non può fidarsi solo dei documenti della certificazione del fornitore o che accompagnano la merce, ma deve attivarsi per garantire che la filiera sia tutta sotto la sua supervisione, a partire dalla produzione agricola. Io credo che serva più formazione, più professionalità, più conoscenza dei rischi legati ai prodotti e a certe provenienze. Un distributore deve avere gli strumenti per capire se la sua catena di fornitura presenta dei rischi e deve essere in grado di prevenirli. Se questo non è possibile è un dovere etico non comprare per non rischiare di ingannare i consumatori. Non tutto si può produrre con metodo biologico soprattutto a prezzi di acquisto delle materie prime troppo bassi. […]