Il pontefice e la crisi climatica come urgenza spirituale: il rispetto per le campagne parte dalla conversione interiore
La scomparsa di Jorge Mario Bergoglio nella mattina di Pasquetta lascia orfana una Chiesa che, sotto la sua guida, ha imparato a sporcarsi le mani nel fango del nostro tempo: tra plastica negli oceani, deserti che avanzano e campagne svuotate. Il primo Papa venuto “dalla fine del mondo” ha messo al centro della sua missione una verità scomoda: la crisi climatica non è un tema da esperti o da attivisti in maglietta verde, ma un’urgenza spirituale e politica che attraversa le tavole, i campi, le periferie. E che bussa, ogni giorno, alla porta dei più vulnerabili.
Quando nel 2015 pubblicò Laudato si’, sembrava quasi che il Vaticano avesse deciso di iscriversi d’ufficio tra le Ong ambientaliste. In realtà, quel testo ha segnato uno spartiacque: non una semplice enciclica, ma un manifesto globale per un’ecologia integrale che unisse la difesa del creato alla lotta per la giustizia sociale. Un trattato di economia morale, travestito da preghiera.
«La crisi ecologica è un appello a una profonda conversione interiore»: in questo passo dell’enciclica, Francesco ha condensato l’idea che, senza un cambiamento spirituale e culturale, nessun accordo climatico avrebbe retto l’urto del cinismo economico. E mentre gli altri si limitavano a invocare “transizioni ecologiche”, lui prendeva di petto la radice del problema: “un sistema economico malato alla radice”, che produce scarti – ambientali e umani – come se nulla fosse.
La sua voce, da allora, è rimasta costante – a volte tenera, più spesso ruvida. Come nel 2023, quando pubblica Laudate Deum, aggiornamento amaro e urgente della prima enciclica, quasi una seconda chiamata prima della catastrofe. Lì il Papa non si limita più a sperare: accusa, denuncia, implora. Scrive che «il mondo che ci accoglie si sta sgretolando, e forse si sta avvicinando a un punto di rottura» Parla di un «pianeta sofferente», smaschera l’ipocrisia di chi cavalca l’onda green per trarne profitto, e rilancia la responsabilità condivisa tra Stati, imprese e cittadini. La lotta alla crisi climatica, afferma, non è facoltativa. E tantomeno rimandabile.
L’agroalimentare non è un capitolo a parte: è il campo di battaglia più concreto. Francesco ha spesso ricordato che la fame nel mondo è uno scandalo, un crimine contro i diritti umani. Lo scrisse al segretario delle Nazioni Unite Gutierrez nel 2021, lo ribadì davanti ai potenti del G7 e ai piccoli contadini della Fao, con lo stesso tono netto. In un mondo che spreca cibo e produce diseguaglianza, non c’è giustificazione morale.
Ancora in un messaggio rivolto alla FAO, nel luglio di due anni fa, Francesco aveva rimarcato come «La povertà, le disuguaglianze, la mancanza di accesso a risorse elementari come il cibo, l’acqua potabile, la sanità, l’educazione, l’alloggio, sono un grave affronto alla dignità umana».
Non si può affrontare la questione ambientale separatamente dalla giustizia verso i poveri: ancora nella Laudato sì, Francesco aveva evidenziato una Terra-casa comune che «protesta per il male che provochiamo a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla».C’è un filo rosso che unisce lo scioglimento dei ghiacciai alle migrazioni forzate, le tempeste tropicali alla speculazione sul grano, la desertificazione alla fame. E Francesco lo tiene teso tra le mani, chiamandolo con il suo nome: debito ecologico. […]