Il Bio Tour di FederBio parte dalla cooperativa romana che ha resistito alla speculazione edilizia
Non si può dire che la Cooperativa Agricoltura Capodarco, nata dalla comunità di Don Franco Monterubbianesi, abbia scoperto oggi il biologico. Nello statuto del 1978, scritto a penna, i due punti chiave sono la centralità della persona e l’attenzione all’ambiente. Però in questi 46 anni di vita quell’invito a pensare alla natura ha assunto un peso maggiore. Tanto che oggi Capodarco è stata la prima tappa del Bio Tour realizzato grazie al progetto Being Organic in EU, la campagna di promozione proposta da FederBio in collaborazione con Naturland, associazione tedesca di agricoltori bio, e cofinanziata dall’Unione europea.
“La domanda del cibo bio è cresciuta moltissimo, non c’è dubbio”, racconta Salvatore Stingo, il presidente della cooperativa Capodarco. “Una volta era una nicchia e l’idea dell’ecologico, del naturale era un po’ vaga, indistinta. Ora arrivano qui che già sanno tutto, che cercano il bollino con la certificazione bio perché sanno che quella è una garanzia in più, un timbro ufficiale che assicura specifiche modalità di produzione. Però di bio ce n’è tanto e chi viene qui cerca anche l’altra componente del nostro cibo, il rapporto umano”.
Nella cooperativa Capodarco, circa 40 ettari tra Roma e Grottaferrata, lavorano in modo stabile una trentina di persone che arrivano a 50 nei momenti di picco. Tra di loro ci sono ragazzi con disabilità fisiche e psichiche, persone che hanno avuto problemi di dipendenza o di reinserimento dopo il carcere, migranti. Si dividono tra le varie attività della cooperativa.
“Ormai un’azienda agricola per sopravvivere deve diversificare”, continua Stingo. “Ci sono il lavoro dei campi, la trasformazione del prodotto, la vendita diretta, il ristorante. Facciamo il vino senza solfiti, perché la solforosa è un ottimo conservante ma si lega al fegato e dà problemi di accumulo, e l’olio verde, con le olive raccolte a fine settembre e portate subito al frantoio. Poi abbiamo l’agriturismo, l’orto, la fattoria didattica. Stiamo nel mercato ma teniamo le porte aperte: non ci sono cancelli”.
Anche perché i maggiori rischi per Capodarco non sono stati i furti, scoraggiati nella tenuta romana dalla vicinanza di un’area gestita dal capitano Ultimo e dal presidio territoriale del pastore Antonio. I problemi sono stati altri: la Tenuta della Mistica è uno degli ultimi scampoli della campagna romana raccontata dai viaggiatori dell’Ottocento. Sta tra Tor Sapienza, Tor tre Teste e Torre Maura, in una zona in cui l’appetito edilizio è sempre stato vivace.
“La battaglia per mantenere la funzione agricola per questi terreni è stata lunga e dura”, ricorda il presidente della cooperativa. “A proteggerci non servivano i cancelli: c’è voluta una grande mobilitazione e il sostegno del Comune, proprietario della tenuta, per far sì che questa esperienza non venisse cancellata. Sono terre che facevano gola a molti: sono rimaste campi”.
Campi parte di una cintura verde che fa di Roma il Comune agricolo più grande d’Europa. Un elemento – come ha sottolineato l’assessora all’Agricoltura e all’Ambiente del Comune di Roma, Sabrina Alfonsi – essenziale per frenare il consumo di suolo di cui la capitale ha il primato tra le grandi città italiane, con una media di 90 ettari l’anno.
Capodarco è la prima tappa del Bio Tour che ripercorrerà la filiera agricola in linea con la strategia europea Farm to Fork che vuole arrivare al 25% di campi bio entro il 2030. Un salto verso la sostenibilità che si lega agli aspetti sociali sottolineati dall’esperienza di Capodarco. Resta da vedere, dopo le incertezze sulla svolta green in agricoltura durante l’ultima fase del precedente Europarlamento, quale sarà l’equilibrio del nuovo.