L’Europa deve scegliere l’agricoltura del futuro. E lo deve fare nei prossimi mesi. Pensando che da ciò dipendono sostenibilità delle attività economiche, salubrità e qualità del cibo e buona parte del contrasto ai cambiamenti climatici. Perché nelle aziende agricole si gestiscono le colture e gli allevamenti da cui dipende l’11% di emissioni di gas serra. E poi l’acqua e l’energia, l’uso di pesticidi, fertilizzanti, antibiotici. Per non parlare del reddito dei piccoli contadini e dei profitti dell’agroindustria. Della tutela degli habitat e dei servizi ecosistemici, attraverso la cura di tantissime aree rurali non coltivate a reddito. Un delicato equilibrio che, teoricamente, dovrebbe trovare un bilanciamento all’interno della riforma della prossima Politica agricola comunitaria (la PAC). Una “manovra” che vale oltre 300 miliardi di euro. L’obiettivo principale è garantire sostenibilità alle prossime generazioni di agricoltori, ai cittadini e ai consumatori.

Il Parlamento europeo, nello scorso mese di ottobre, ha approvato un testo per il periodo post-2020. Ci sarà dapprima un periodo di regolamentazione transitoria, in cui vige la vecchia Pac “riadattata”. Quindi il nuovo sarà valido per i 7 anni seguenti. Anni nel corso dei quali si dovrà anche indirizzare il Pianeta verso un sistema produttivo compatibile con il principale obiettivo dell’Accordo di Parigi ovvero limitare la crescita della temperatura media globale ad un massimo di 2 gradi centigradi, entro la fine del secolo.

La riforma della Pac criticata dagli attivisti ecologisti

L’attivista svedese Greta Thunberg ha già affermato senza mezzi termini che la nuova Pac, come approvata dal Parlamento europeo, «alimenta la distruzione ecologica». Allo stesso modo, l’associazione Greenpeace ha dichiarato che la riforma «è un disastro per le piccole aziende agricole, per la natura e per il clima». Si tratta, d’altra parte, del portato di un compromesso tra le componenti del cosiddetto trilogo – Parlamento, Commissione e Consiglio europeo (che rappresenta i governi dei Paesi membri). Con la pressione sotto traccia operata dalle lobby politiche, agricole e industriali. Il passaggio comunitario è delicato, insomma, e le preoccupazioni non mancano. A cominciare da quelle per lo slittamento della riforma al 2023, che sarebbe di «estrema gravità». Come spiega Maria Grazia Mammuccini, presidente di FederBio (organizzazione parte della coalizione Cambiamo agricoltura).

Bruxelles sta andando nella direzione giusta?

«La comunicazione della fine del 2019 sul Green New Deal della Commissione europea, e poi le singole strategie sui vari settori, che per l’agricoltura sono Farm to Fork e Biodiversità uscite a fine maggio 2020, sono dei passaggi epocali per l’agricoltura europea. Qui si indicano degli obiettivi quantitativi molto ambiziosi. Come la crescita delle superfici coltivate a biologico a livello europeo, che dovrebbero triplicare nei prossimi 10 anni: attualmente siamo al 7,8% in Europa e la proposta è di arrivare al 25%. E poi la riduzione del 50% dell’uso di pesticidi di sintesi chimica, sempre in un decennio. Nonché il calo del 50% dell’impiego di antibiotici. Sono tutti obiettivi molto chiari e quantitativamente molto consistenti. L’Europa sta indicando un nuovo modello, quello della agroecologia. Nella quale il biologico e il biodinamico, da un ruolo di nicchia, stanno diventando i riferimenti per tutta la agricoltura».

Sembra ci sia la volontà politica di sposare la vostra idea di agricoltura

«Eh sì, perché per attuare i propositi sui pesticidi di sintesi, ad esempio, ci sarà bisogno che alcune delle pratiche impiegate dal biologico o dal biodinamico vengano introdotte anche dal resto della agricoltura. Allo stesso tempo, il biologico dovrà lavorare sempre verso standard ancora più avanzati, e soluzioni ancora più innovative. Quindi è veramente un passaggio importantissimo».

E il “ma…” dove sta, allora?

«Il problema grosso è che gli Stati membri stanno sostanzialmente tirando il freno. Perché rispetto alla proposta della Commissione europea, il testo discusso al Consiglio europeo tra i governi ha fatto dei passi indietro. E anche il Parlamento europeo, su tutta una serie di tematiche. Per esempio, non sono stati inseriti nella riforma della Pac approvata gli obiettivi della strategia “Farm to fork”. Si tratta di una contraddizione (e non sarebbe l’unica né la più evidente, ndr). Hanno dibattuto su una proposta di riforma che era datata 2018, ma in due anni è cambiato tutto. E invece di aggiornarla guardando avanti si vedono arretramenti».

L’Italia che posizione ha assunto in questo processo?

«L’Italia è in uno stato più avanzato rispetto ad altri Paesi nei confronti di queste proposte. La nostra media di superficie a biologico è del 15,8%, circa il doppio di quella europea. Quindi l’Italia dovrebbe addirittura anticipare questa strategia indicata dall’Ue. E invece ha spinto in un’altra direzione: sia la ministra Bellanova in Consiglio europeo sia i nostri parlamentari in commissione Agricoltura, come l’onorevole De Castro. Infine, il Parlamento italiano tiene bloccata da due anni una legge sull’agricoltura biologica senza che si veda alcun passo in avanti, nonostante l’annuncio del 12 novembre scorso del presidente della commissione Agricoltura del Senato. Da allora la legge è sparita dall’ordine del giorno».

Tuttavia proprio l’onorevole De Castro ricordava poco tempo fa che una bella fetta di fondi del programma Next generation Eu andranno all’agricoltura bio, e che saranno compatibili con la tutela del clima…

«Anche nell’approvazione della riforma della Pac viene indicato che il 30% del Primo pilastro deve essere impiegato negli ecoschemi, che sono finalizzati a misure ambientali. Come pure questi fondi del Next generation Eu. Il problema è capire di cosa si parla in termini di misure ambientali. In queste percentuali di risorse è inclusa una serie di misure che, secondo noi, non dovrebbero starci. Faccio l’esempio molto concreto dell’agricoltura conservativa. È vero che essa non lavora il suolo, ma usa il glifosato per diserbare. Dall’agricoltura integrata a quella conservativa, all’agricoltura di precisione…. andrebbero misurate sulla base di indicatori precisi, perché dietro questi titoli ci sono anche pratiche non coerenti con l’obiettivo di riduzione dell’impatto ambientale. Rischia di accadere quanto avvenuto con il greening, che la Corte dei conti europea ha dichiarato non aver ottenuto alcun risultato ambientale».

La partita si potrebbe giocare sulla misura effettiva degli impatti ambientali, quindi…

«È un punto centrale, sul quale stiamo insistendo molto. Sia noi del biologico che le organizzazioni ambientaliste. Perché finora ci si è limitati a una verifica di tipo burocratico, senza alcuna misura effettiva delle ricadute climatiche e ambientali. Su questo argomento la commissione Agricoltura Ue è stata netta, chiedendo che i piani strategici nazionali (Psn) abbiano obiettivi quantitativi indicati in modo chiaro, una strategia per raggiungerli e un monitoraggio sistematico con indicatori che facciano emergere in corso d’opera l’efficacia delle misure. Se tra gli obiettivi c’è il miglioramento delle acque, bisogna dimostrare concretamente nel tempo cosa succede alla loro qualità. E lo stesso vale per l’erosione del suolo o la sostanza organica… Servirà perciò un sistema di monitoraggio complesso che deve essere pubblico, seguito dai portatori di interesse e supportato a livello scientifico». […]

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FONTE


TESTATA: Valori
AUTORE: Corrado Fontana
DATA DI PUBBLICAZIONE: 21 Dicembre 2020