La dicotomia tra etica ed estetica del bio non può essere risolta aspettando la svolta culturale del consumatore, che invece è sempre più attento e sensibile agli aspetti etici. Ciò che si può fare è lavorare affinché il modello produttivo e economico delle imprese biologiche, meglio se a dimensione di filiera, sia capace di innovare i processi, le tecnologie e i mezzi tecnici, garantendo più efficienza e circolarità, massima coerenza e trasparenza verso i cittadini, diversificando al massimo e al meglio i canali di mercato dei propri prodotti. Nessuno escluso. In questa prospettiva gioca un ruolo primario anche il mercato degli acquisti pubblici (ristorazione collettiva pubblica in primis e non solo scolastica), che deve rivedere i propri capitolati dove l’elemento dell’estetica è del tutto ininfluente, così come l’industria di trasformazione, in cui conta quasi solo la qualità intrinseca e nutrizionale. Così Paolo Carnemolla, Segretario Generale di FederBio, spiega a Green Planet la sua visione rispetto a come affrontare questa contrapposizione.

– La dicotomia tra etica ed estetica del prodotto biologico è una sfida culturale da lanciare al consumatore?
“Lavoro in questo settore da 32 anni e questa svolta c’è già stata in parte, ma ora il cittadino consumatore ci chiede molta più etica e non necessariamente estetica. Le parole chiave sono quindi massima aderenza ai principi del metodo biologico, innovazione, circolarità, sostenibilità completa e diversificazione dei canali di mercato. Abbiamo visto anche alcuni tentativi di sensibilizzazione del consumatore solo sul versante dell’estetica, cercando di convincerlo che i prodotti biologici possono essere più brutti degli altri, ma non mi pare un approccio utile se non in contesti particolari di distribuzione nel rapporto diretto fra produttore e consumatore”.

E quindi come è possibile procedere di fronte all’impossibilità di avere prodotti sempre uniformi e uguali a se stessi, quando si coltiva con il metodo biologico?

“Bravi agricoltori biologici sono perfettamente in grado di avere prodotti uniformi all’altezza degli standard merceologici richiesti in particolare per alcuni canali distributivi. Riuscire a valorizzare al meglio anche quella parte di prodotto che non raggiunge questi standard richiede appunto capacità di diversificare il mercato e innovare sul prodotto fino alla trasformazione e non necessariamente solo per uso alimentare. La circolazione delle buone pratiche colturali e di gestione del prodotto, la ricerca e l’innovazione collegati al trasferimento di conoscenze e l’accompagnamento sui mercati anche esteri sono quello che il sistema deve fare per supportare le imprese biologiche a affrontare una complessità che può essere gestita anzitutto investendo in conoscenza e competenze. È quello che ad esempio stiamo facendo tramite FederBio Servizi o la collaborazione con agenzie governative come ICE per l’apertura di nuovi mercati all’estero”.

In che modo garantire uniformità di approccio al biologico?

“Un punto di partenza su cui FederBio insiste da tempo è la necessità che tutto il sistema biologico, compresi gli organismi di certificazione, impari a leggere il Regolamento 848/2018 dai considerando e dai principi e non dai commi della parte tecnica e dalle possibilità di deroghe, purtroppo ancora presenti. Questo è quello che ad esempio FederBio ha proposto attraverso lo standard High Welfare per la zootecnia, capendo già anni fa le potenzialità del metodo biologico di allevamento rispetto a una sensibilità crescente dei cittadini verso il benessere animale. Se abbiamo chiaro come tradurre i principi del biologico in linee tecniche di coltivazione, allevamento e trasformazione capaci di conciliare la sostenibilità economica delle imprese e l’etica che pretendono i consumatori dai produttori biologici allora sapremo anche come approcciare tutti gli ambiti di cui ho parlato prima per conciliare coerenza, integrità e risultati produttivi”.

I ‘considerando’ ed i principi non escludono, però, che su mercato esistano ancora molte deroghe e che talvolta si hanno prodotti bio che sono borderline rispetto a quelli convenzionali…

“Certo, ma come ho già detto i considerando e i principi presenti nella prima parte del Regolamento europeo sono l’ottica attraverso cui dobbiamo leggere tutto il resto della norma. Ad esempio il pascolo è obbligatorio per alcune specie già come principio generale quando si chiede il rispetto dell’etologia dell’animale e questo significa che la stalla deve essere progettata e gestita affinchè gli animali possano pascolare, non che tutti i giorni debbano essere al pascolo. Lo stesso per le deroghe sulle aziende miste o sulle sementi convenzionali non trattate, che non sono un diritto eterno ma devono essere concesse solo in caso di effettiva e temporanea necessità”.

 Affidarsi alla propria interpretazione dei principi quando la parte tecnica definisce con chiarezza i limiti, apre un mondo quasi affidato alla discrezione degli operatori…

“Per questo ho detto che si tratta di mettere in trasparenza e condividere con tutti gli attori del sistema l’approccio corretto alla lettura della norma perché altrimenti, come accade ora, in alcuni casi diventa una corsa a trovare il consulente o l’organismo di certificazione più geniale a trovare il cavillo e la scappatoia che nessuno potrà contestare sul piano formale, salvo poi far perdere di credibilità tutto il settore e mettere fuori mercato gli operatori che applicano con rigore i principi del metodo biologico scritti nella norma. Il problema è l’eccessiva discrezionalità e disomogeneità degli organismi di certificazione, a cominciare dalla selezione degli operatori all’ingresso nel sistema di certificazione, che l’Autorità competente nazionale ha cercato di limitare con Decreti e con circolari interpretative, che tuttavia hanno spesso solo deresponsabilizzato gli organismi di certificazione e complicato il lavoro degli operatori senza migliorare di fatto la situazione”.

Ma in sostanza, estetica ed etica del prodotto sono due concetti che possono convivere nel mondo del bio?

Possono e devono convivere, del resto come ho già spiegato l’idea che l’estetica di un prodotto biologico debba essere necessariamente peggiore di quella di un prodotto convenzionale è sbagliata, mentre certamente ci sono differenze anche estetiche che devono essere comprese da chi acquista un prodotto biologico perché quello che può apparire un difetto è invece un pregio del prodotto. Ad esempio il tuorlo di un uovo biologico più chiaro di quello di un uovo convenzionale per l’assenza di alcuni additivi o la diversa dimensione e consistenza di tagli di carne di animali allevati all’aperto, così come la diversa conservabilità di prodotti che non subiscono trattamenti in post raccolta con chimica di sintesi. Ma bisogna anche aver chiaro che tutte queste differenze possono essere risolte anche in positivo per il prodotto biologico se si lavora sui processi produttivi con innovazione e competenza, anche facendo ricerca e utilizzando tecnologie già disponibili, ad esempio per la migliore conservabilità dei prodotti ortofrutticoli”.

E per quei prodotti che vengono su come ‘natura vuole’?

Il biologico è sempre come natura vuole, come ho già scritto la minore omogeneità e qualità estetica dei prodotti va gestita anzitutto differenziando i canali di mercato e innovando prodotti e comunicazione. E investendo l’acquirente pubblico, in particolare per la ristorazione collettiva, della necessità di rimuovere dai capitolati di gara requisiti qualitativi e merceologici inutili che penalizzano in particolare i prodotti biologici”

Come si fa a parlare di Bio quando, pur portando le superfici certificate al 25%, si avrà comunque un 75% di produzioni convenzionali contigue che comunque potrebbero creare delle contaminazioni tra i vari impianti produttivi?

“Si parla di biologico dal 1991, quando fu pubblicato il primo Regolamento europeo e la percentuale di superficie biologica era uno zero virgola qualcosa. È quindi un tema ben conosciuto e che abbiamo imparato a gestire anche in tempi in cui le tecniche di distribuzione, la numerosità e quantità delle sostanze attive non ammesse utilizzate in agricoltura convenzionale erano assai più impattanti di oggi. Ricordo anche che prima che un terreno diventi biologico è necessario trascorrano fino a tre anni di conversione. La strategia Farm to Fork prevede una riduzione ancora più consistente dell’impiego della chimica di sintesi e ormai anche l’industria che produce fitofarmaci sta orientando la ricerca e lo sviluppo verso sostanze utilizzabili sia in biologico che in convenzionale, così come le tecniche e le macchine per la distribuzione dei pesticidi sono sempre più sofisticate e avanzate anche per ridurre la contaminazione ambientale e l’effetto deriva. Sono quindi molto fiducioso che in futuro l’agricoltura biologica avrà sempre meno rischi di contaminazione anche in territori agricoli specializzati, come nel caso di quelli vitivinicoli e frutticoli. Per quanto riguarda il rischio di contaminazione da aziende confinanti questo aspetto viene gestito anche nell’ambito del sistema di certificazione, con l’individuazione dei rischi effettivi e la predisposizione di elementi naturali o modalità separate di gestione e raccolta nei confini a rischio. Con l’approvazione del Piano d’azione nazionale per l’uso sostenibile dei pesticidi, che ormai attendiamo da anni, verrà introdotto anche l’obbligo di fasce di rispetto nell’effettuazione dei trattamenti con sostanze non ammesse anche da parte delle aziende confinanti. Ricordiamoci che dal 2011 in Italia un prodotto biologico con un residuo anche da contaminazione accidentale di una sostanza non ammessa superiore a 0,01 ppm deve essere venduto come convenzionale”.

Questo ci fa capire, che in questa fase di transizione, la convivenza tra diversi tipi di agricoltura, richiede una particolare attenzione.

“Soprattutto richiede un quadro di regole chiaro che tuteli gli agricoltori biologici e che eventualmente li risarcisca quando la contaminazione non è derivata da loro colpa, attivando anche meccanismi assicurativi rispetto all’eventualità di dover declassare il prodotto per presenza di residui di sostanze non ammesse e sostegno economico per implementare le misure e i sistemi di protezione. E bisogna che il percorso di transizione al biologico diventi un progetto strategico di tutta l’agricoltura italiana, come sta già avvenendo ad esempio in molti comprensori vitivinicoli di denominazioni di origine anche prestigiose e in cui la percentuale di vigneti convertiti al biologico è ormai già molto oltre gli obiettivi europei se non maggioritaria”.

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FONTE


TESTATA: Green Planet
AUTORE: Mariangela Latella
DATA DI PUBBLICAZIONE: 21 marzo 2023