L’Italia è il primo Paese Ue per trasformatori e il terzo per superficie ma il fatturato è solo il 3,2% del food and beverage a causa delle scarse conoscenze, prezzi troppo alti e packaging non adeguato

Biologico, la parola (da sola) non basta più per convincere gli italiani del valore dei prodotti alimentari dotati di questa certificazione: in un anno hanno perso l’1,1% di fatturato, fermandosi a 3,9 miliardi di euro (fonte Nomisma/NielsenIQ). Il bio rappresenta solo il 3,2% del giro d’affari complessivo del food&beverage. Poca cosa per l’Italia, prima nella Ue per numero di trasformatori biologici e terza per superfici.

Ne produciamo tanto di bio, ma ne consumiamo poco perché spesso non lo conosciamo e non siamo in grado di riconoscerne il valore. Secondo Nomisma, il 60% dei consumatori vorrebbe informazioni più dettagliate sulle caratteristiche, sul metodo di produzione e sui valori nutrizionali degli alimenti bio. Ma anche sulla distintività del biologico rispetto al convenzionale e sulla sua sostenibilità ambientale, sociale ed economica. L’esigenza di trasferire al consumatore in modo più efficace le peculiarità del biologico sembra necessaria anche per difenderlo dalle “incursioni” di altre caratteristiche dei prodotti alimentari che si stanno appropriando di parte dei suoi valori. Come “residuo zero” o come “filiera”, artefice di una crescita rapida del giro d’affari (+8,3% annuo), superiore a 1,2 miliardi di euro solo in super e ipermercati (fonte Osservatorio Immagino).

«In effetti negli ultimi anni sono nati molti claim che parlano di sostenibilità ma sono ben diversi dal biologico, che è una certificazione regolamentata e riconosciuta dalla Ue. Spesso si tratta di dichiarazioni “vuote” se non di vero e proprio greenwashing – commenta Maria Grazia Mammuccini, presidente FederBio –. Per questo siamo impegnati in campagne informative, come Being Organic in Ue, per spiegare l’approccio circolare dell’agricoltura biologica e sottolineare i benefici degli alimenti biologici non solo per la salute umana anche per quella del suolo, e quindi per l’ambiente. Il bio sconta un costo maggiore all’origine, in particolare nella fase agricola, a cui si aggiungono i costi delle certificazioni, e questo si trasferisce anche sul consumatore – ammette Mammuccini –. Per abbassare i costi della filiera, senza intaccare i valori del biologico, occorre portare a credito d’imposta il costo delle certificazioni e abbassare l’Iva sui prodotti biologici, come stiamo chiedendo da tre anni. Finora inutilmente». […]

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FONTE


TESTATA: Il Sole 24 Ore
AUTORE: Manuela Soressi
DATA DI PUBBLICAZIONE: 21 marzo 2023