Il Senato ha approvato una legge che per la prima volta regola e valorizza l’agricoltura biologica. Dopo il voto, si è scatenata una polemica a senso unico e senza diritto di replica, contro la biodinamica, che da 30 anni è – per il Regolamento europeo – riconosciuta come pratica agricola biologica, in quanto applica metodi naturali alla cura dei campi. Stregoneria, pratiche magiche: le accuse vengono da una parte del mondo della ricerca e sono espresse in maniera che lascia intendere che non ci sia un pensiero scientifico che vada in altre direzioni. Cambia la Terra ha cominciato a dare voce a personalità illustri e riconosciute del mondo della ricerca che esprimono opinioni ben diverse, partendo dall’intervista al professor Paolo Bàrberi, docente di Agronomia alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.

 Professor Bàrberi, la legge sul biologico non è ancora definitivamente approvata ma già ora suscita grandi polemiche. È nata con troppo ritardo?

Sì. Tuttavia, si può dire che la legge è tempestiva in un contesto in cui a livello europeo il quadro normativo e la programmazione della commissione vanno verso la transizione agroecologica. Il Green Deal si collega alle strategie Farm to Fork e Biodiversity 2030, che intendono dare un grande impulso allo sviluppo del biologico. La legge italiana capita nel momento giusto perché dà riconoscimento non a un settore di nicchia, ma a un settore trainante dell’agroalimentare del nostro Paese. […]

Lei si è sempre interessato dell’agricoltura biologica, e dei suoi risultati. Perché?

 Il biologico ha dei plus innegabili dal punto di vista ambientale, della qualità dei prodotti, della salute umana e animale. Ma anche dal punto di vista delle opportunità economiche, ad esempio per il rilancio dei territori marginali. Non dimentichiamoci che il nostro Paese ha il 75% del suo territorio in aree collinose e montuose e per queste il biologico è perfetto, come dicono i rapporti della Commissione Europea. […]

In altre parole, funziona.

 L’agroecologia con le sue applicazioni, tra cui il biologico, funziona perché è in grado di adattarsi alle realtà locali e trovare soluzioni adatte a qualsiasi contesto. In questo l’approccio è opposto a quello dell’agricoltura convenzionale industrializzata, dove si pretende di offrire soluzioni tecniche standardizzate valide universalmente. L’agroecologia funziona perché si basa sulla diversificazione dei sistemi. […]

I detrattori dicono però, che se tutto il mondo fosse coltivato in biologico, dovremmo raddoppiare la superficie dei campi coltivati, perdendo boschi e aree naturali.

 Non è così, a questo falso allarme c’è una prima risposta facile. I lavori scientifici indicano una riduzione media della produttività del biologico del 15-20% rispetto all’agricoltura intensiva. Tuttavia, che senso ha parlare della necessità di raddoppiare la produzione da oggi al 2050 in un contesto in cui più del 30% del cibo prodotto viene sprecato? Oltre che inaccettabile dal punto di vista etico, questo indica che il sistema attuale semplicemente non funziona. Bisogna in primo luogo correggere i meccanismi che creano lo spreco. L’approccio agroecologico prevede di riprogrammare non solo le tecniche produttive ma l’intero sistema agro-alimentare, comprese le diete e i modelli di consumo. Il vero obiettivo che dobbiamo porci non è quello di produrre di più ma di farlo meglio, nelle aree dove serve e per le persone a cui serve, garantendo cibo sufficiente di qualità per tutti. Siamo parlando di redistribuire il cibo diversamente, secondo le necessità, evitando gli sprechi.

Eppure, non mancano certo le critiche alla legge che valorizza appunto il biologico e di conseguenza la diversificazione e il collegamento ai territori.

 Le critiche di questi giorni hanno come bersaglio apparente il biodinamico, ma l’obiettivo è l’intera legge sul biologico. Noi come ricercatori, che due anni fa abbiamo costituito il Gruppo per la Libertà della Scienza, avevamo già risposto a queste critiche infondate. Quello che sta venendo fuori in questi giorni è un déjà vu. Si tratta di posizioni precostituite che poco hanno di scientifico e incapaci di vedere l’agricoltura nella sua realtà di sistema complesso.

Ma sul banco degli imputati c’è per ora ‘solo’ la biodinamica.

 La biodinamica è da sempre una parte del settore biologico, a cui è vicina per approccio e metodi e la legge, giustamente, lo riconosce. Dal mio punto di vista, non mi interessano gli aspetti filosofici o spirituali dell’agricoltura biodinamica. Come ricercatore mi interessa capire se i metodi e i sistemi biodinamici funzionino. Trovo molto interessante, ad esempio, il concetto fondante del biodinamico, cioè l’azienda come organismo vivente complesso. […]

Quindi è una questione di culture scientifiche?

 Certamente la contrapposizione è in due modi diversi di vedere non solo l’agricoltura ma anche la scienza. Un sistema vivente, come quello agricolo, non può che essere affrontato nella sua complessità. Occorre capirne le componenti, le interazioni e le dinamiche nello spazio e nel tempo. Dobbiamo continuare in questa direzione, quando abbiamo a disposizione delle alternative decisamente migliori? Non mi pare proprio. In quest’ultimo anno abbiamo toccato con mano che esistono dei rischi che finora avevamo sottovalutato, a cominciare dagli allevamenti intensivi che sono una potenziale minaccia per la diffusione di pandemie. Questo è il momento di rendersi conto che non possiamo più permetterci questo tipo di allevamenti che, tra l’altro, hanno un livello di utilizzo di antibiotici insostenibile. La medicina ci ha già avvertito che quello della resistenza agli antibiotici sarà il più grande problema per la salute umana nei prossimi anni. Se non interveniamo su queste minacce prima che si presentino in tutta la loro drammaticità come è successo per il Covid-19 ci esponiamo a rischi enormi che ancora non siamo in grado di quantificare. […]

LEGGI TUTTO

FONTE


TESTATA: Cambia la Terra
AUTORE: Simonetta Lombardo
DATA DI PUBBLICAZIONE: 27 maggio 2021