Anche in brik, soprattutto se abbinato al vitigno autoctono e a formati più piccoli e comodi il bio può diventare valore aggiunto per il vino.

“Sono proposte in questo momento ben accettate dal consumatore, che tendenzialmente beve meno ma meglio”, spiega Paolo Galassi, amministratore delegato di Due Tigli. Nel 2019 sono stati venduti più di 800 mila pezzi di Sancrispino Bio, con una crescita del 13% sul 2018. Anche Caviro investe in questo segmento su cui lavora da diversi anni, specialmente all’estero e nei mercati nord europei. La novità 2020 è il Tavernello bio in brik (vino da tavola amato da 4 milioni di consumatori, leader del segmento con oltre 34% di quota, 80 milioni di fatturato alle casse della gdo all’anno). La scelta di ampliare la gamma -fa sapere l’azienda è determinata dalla richiesta crescente del mercato per questi vini, che è possibile soddisfare lavorando con le cantine e i viticoltori delle zone più vocate. Ma Caviro aveva pronto per il Vinitaly un’altra novità, il Tavernello senza solfiti aggiunti, che punta a intercettare la crescente domanda di prodotti salutistici. Nella Gdo da anni si sta assistendo del resto a una flessione nelle vendite con un’offerta però più qualitativa. “Negli ultimi anni abbiamo assistito a un’evoluzione del consumatore, passato dalla quantità alla qualità, anche se non necessariamente a denominazione di origine – spiega Giovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere-. Questa tendenza si riflette anche negli acquisti in grande distribuzione”.

I vini bio crescono a doppia cifra nella Gdo. Nei primi otto mesi del 2019 hanno raggiunto 35,2 milioni di euro, con un aumento esponenziale del 363% rispetto al  2016 (Fonte: Osservatorio Bio Nomisma). La cifra è ancora limitata se si pensa che nella Gdo si vendono 619 milioni di litri dì vino italiano per un valore di I miliardo e 902 milioni di euro (dato 2018). I produttori bio chiedono dunque un maggiore impegno della Gdo.

“Fatico a vedere che il retail italiano sia realmente interessato al bio -dice Angela Velenosi, titolare della Velenosi, cantina di Ascoli Piceno nata nel 1984- nella Mdd ha poi un peso deludente. Non c’è disponibilità del buyer a pagarlo di più e a riconoscere il lavoro che c’è dietro. Tutti parlano di sostenibilità, c’è attenzione, che poi non si traduce concretamente nei fatti. Ma noi insistiamo”. Inoltre con un’incidenza pari al 15,8%, l’Italia è il primo Paese per quota di vigneto biologico sulla superficie vitata totale. A scaffale i vini biologici rimangono ancora poco rappresentati. “Il consumatore ha bisogno di essere guidato tra gli scaffali attraverso un percorso chiaro e preciso -suggerisce Luisa Marinoni, responsabile marketing Cavit-. Altri accorgimenti potrebbero essere il coinvolgimento di una persona competente che presidi costantemente la zona vini oppure l’utilizzo di tecnologie innovative”. Da registrare, fra l’altro, la recente partnership firmata tra FederBio e l’Unione Italiana Vini.

“La coltivazione biologica viene identificata sempre di più come un metodo avanzato che contribuisce a esaltare la qualità dei vini, in particolare quando parliamo di vini legati al territorio, anche nelle piccole denominazioni. Data la complessità e la vastità degli obiettivi di sviluppo della vitivinicoltura biologica e biodinamica nazionale, è importante attivare forme di collaborazione e sinergie come quella con l’Unione Italiana Vini. Questo accordo intende preservare e migliorare la qualità dell’ambiente rurale e rafforzare la capacità competitiva e d’innovazione delle imprese italiane del settore attraverso lo sviluppo dell’agricoltura biologica”, ha sottolineato Maria Grazia Mammuccini, presidente FederBio. […]

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FONTE


TESTATA: Mark Up
AUTORE: Daniele Colombo
DATA DI PUBBLICAZIONE: 12 Aprile 2020