A Bruxelles si discute del futuro delle Nbt e in Italia le associazioni di categoria si dividono tra favorevoli e contrarie. A sostenere le tesi del “no” c’è FederBio. In questa intervista la presidente Maria Grazia Mammuccini spiega perché il futuro del settore non può passare dalle Nbt.

 

Amate e odiate, le New breeding techniques sono per alcuni la speranza a cui affidare un futuro dell’agricoltura produttivo e sostenibile. Per altri sono un escamotage per far rientrare dalla finestra gli Ogm che il consumatore tanto detesta. Se le maggiori associazioni italiane di agricoltori (e non solo) aprono ad un dialogo sul tema (leggi questo articolo per sapere di più), Federbio ha le idee molto chiare.

“Sulle nuove tecniche d’ingegneria genetica la posizione di Federbio coincide perfettamente con quella assunta a livello europeo e internazionale da Ifoam (Federazione internazionale dei movimenti per l’agricoltura biologica, Ndr): il mondo del biologico ribadisce il proprio impegno a escludere non solo gli Ogm, ma anche i prodotti derivanti dalle nuove biotecnologie dai propri sistemi di produzione”, spiega ad AgroNotizie Maria Grazia Mammuccini, presidente di Federbio.

“Riteniamo fondamentale che sulle nuove tecniche d’ingegneria genetica venga condotta un’attenta valutazione del rischio e vengano elaborati, dalla rete europea di laboratori per la rilevazione di Ogm, metodi e strategie per identificare i prodotti derivanti dalle Nbt affinché si possano attivare i necessari controlli. Questo è fondamentale per garantire tracciabilità e trasparenza e quindi la possibilità ai cittadini di scegliere il cibo che preferiscono e agli agricoltori il modo ottimale di produrlo”.

Presidente Mammuccini, ritiene che piante modificate con le Nbt possano aiutare anche gli agricoltori biologici ad avere produzioni più sostenibili?
“L’agricoltura biologica trova fondamento nell’agroecologia, quindi su un approccio sistemico e trans-disciplinare che vede l’azienda agricola e il territorio rurale come un sistema integrato basato sull’interazione tra le migliori pratiche ambientali e agronomiche orientate prima di tutto all’incremento della fertilità del suolo, a un alto livello di biodiversità, alla salvaguardia delle risorse naturali, all’applicazione di criteri rigorosi in materia di benessere degli animali e a una produzione ottenuta esclusivamente con sostanze e procedimenti naturali senza l’utilizzo della chimica di sintesi.

Il metodo biologico ha pertanto una duplice funzione economica e sociale da un lato e dall’altro di produzione di beni pubblici che contribuiscano alla tutela dell’ambiente, al governo del territorio, al contrasto e all’adattamento al cambiamento climatico.

L’innovazione per il futuro dell’agricoltura per noi è questa: adottare un approccio olistico puntando sulla resilienza dei sistemi agroecologici piuttosto che su quello della singola pianta ed è in questa direzione che occorrerebbe investire maggiori risorse in termini di ricerca, innovazione e sistemi di conoscenza”.

 

Fonte: AgroNotizie

Autore: Tommaso Cinquemani

 

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