In occasione del 50° Earth day, la presidente di FederBio, Maria Grazia Mammuccini, ribadisce l’importanza di un’agricoltura sostenibile per salvaguardare il pianeta

Mai come adesso celebrare la salvaguardia del nostro pianeta ha un significato particolare. Oggi è il cinquantesimo Earth day, la Giornata della terra che si festeggia ogni anno un mese e un giorno dopo l’equinozio di primavera. Gli studi che circolano tratteggiano una situazione ambientale che continua a essere ai limiti. L’ultimo rapporto Ipbes parla di un declino della natura senza precedenti: dal 1980 le emissioni di gas serra sono raddoppiate, generando un incremento delle temperature medie globali di almeno 0,7 gradi centigradi, con previsioni di ulteriori aumenti nei prossimi decenni.

Il 75% dell’ambiente terrestre e circa il 66% di quello marino sono stati modificati in modo significativo, e circa 1 milione di specie animali e vegetali rischiano l’estinzione. Una perdita che è il risultato diretto dell’attività umana e costituisce una minaccia concreta al benessere e agli equilibri ecologici.

“Quello che sta avvenendo con l’emergenza sanitaria in atto è un’ulteriore conferma di ciò che noi del mondo del bio approfondiamo con proposte che rivolgiamo alla politica”, spiega Maria Grazia Mammuccini, presidente FederBio. “E cioè che un modello agricolo basato sulla massima produttività attraverso la chimica di sintesi si sta mostrando fallimentare. E ora emerge ancora di più, con contraddizioni evidenti su cui riflettere per attivare percorsi alternativi”.

Iniziamo a inquadrare il bio in Italia. La sua crescita è stata esponenziale a partire dal 2010, un boom legato alle scelte alimentari dei cittadini: nel 2010 le superfici coltivate a bio erano l’8,5% di quelle italiane, ora il 15,5% e generano un giro d’affari che lo scorso anno è stato di 6,3 miliardi di euro. Anche durante il lockdown i consumatori hanno dimostrato di apprezzare sempre di più il piacere di mangiare sano. Dall’altro lato la filiera nell’ultimo mese ha sofferto la chiusura del canale ho.re.ca., anche se molti produttori si sono reinventati consegnando a domicilio.

“Complessivamente il sistema ha retto – dice Mammuccini – Fino a ora il concetto di sicurezza alimentare è stato visto in primo luogo come normative igienico-sanitarie da rispettare. Elementi che oggi rimangono sempre validi, ma che sono passati in secondo piano rispetto alla necessità di far arrivare il cibo sulle tavole degli italiani, una questione che non si era mai posta prima. In tutto questo le filiere locali sono apparse come punto di forza, affermando ancora di più il ruolo del bio”.

L’abbandono dell’agricoltura intensiva è sempre stato un cavallo di battaglia dell’associazione, e si lega alla cura della terra, che ricorre proprio oggi. “Le imprese agricole ovviamente devono assicurarsi una tenuta economica per andare avanti, ma insieme è necessario un senso di responsabilità maggiore, perché gli agricoltori sono i principali soggetti a prendersi cura della terra”, prosegue Mammuccini. “Quello che fanno alla terra non riguarda solo la loro azienda, ma ha un impatto su tutto, è una funzione pubblica e alcuni iniziano a chiedere di essere remunerati per questo: le loro azioni hanno conseguenze importanti e bisogna sostenerli nel cambiare il modo di produzione”.

Per promuovere la tutela degli agricoltori, secondo FederBio sono due le strade da intraprendere: una politica agricola comunitaria che sostenga chi si sta convertendo al bio, e la ricerca innovativa che guardi alla sostenibilità. “A Parigi è nata una rete di 30 centri di ricerca europei – per l’Italia ci sono il Cnr, l’università di Bologna e la Sant’Anna di Pisa –  per trovare soluzioni all’avanguardia che facciano a meno dei pesticidi – conclude Mammuccini – è a queste frontiere che stiamo guardando”.

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FONTE


TESTATA: La Repubblica
AUTORE: Caterina Maconi
DATA DI PUBBLICAZIONE: 22 Aprile 2020